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Le artigiane dei mercatini slow. «Una precisa scelta di vita»

Francesca Lioy e gli artisti che vivono di creatività: «Tanta fatica, ma anche tante soddisfazioni»


Daniele Peretti


TRENTO. Nel 1997 in Trentino è nata Artis (Artigiani Artisti in Strada) che raggruppa gli artigiani dell’artistico provenienti oltre che dal Trentino anche dall’Alto Adige e dal Veneto. Lo scopo è quello di organizzare piccoli eventi e selezionare i mercatini e gli espositori che andranno ad animare i comuni montani delle tre regioni di provenienza. Tutto bene, anzi molto bene fino ad inizio pandemia, quando vivere di mercatini è diventato impossibile e molti si sono persi per strada: oggi Artis è da rilanciare partendo da una quindicina di iscritti, sei dei quali trentini. Francesca Lioy è la presidente: «Ci rivolgiamo a chi ha fatto una scelta di vita come quella di puntare a creare il proprio reddito partecipando ai mercatini. Si lavora duro luglio ed agosto mediamente dalle 6 alle 19.30 ed anche oltre se consideriamo il tempo necessario per smontare il banchetto, caricare la macchina e partire verso la sede del giorno dopo. Certo è una vita di rinuncia che sceglie chi preferisce vivere con ciò che crea con le proprie mani, ma anche chi ripudia gli attuali ritmi e a una corsa per arrivare in tempo a timbrare un cartellino preferisce una tranquilla passeggiata».

Chi sono gli artigiani artisti? Nei lavori di tutti gli artigiani c’è qualcosa di artistico che prende la strada di una vera e propria arte nel momento in cui si crea qualcosa con le proprie mani: possono essere lavori col vetro, col ricamo, piccole sculture in legno: a noi si rivolgono tutti coloro che essendo piccoli sono fuori dai grandi circuiti.

Cosa si intende per “selezionare mercatini ed espositori”?

Si va a conoscere l’evento per capire in quale contesto ci andremo a trovare. Non cerchiamo una sagra, ma un mercatino di nicchia dove la gente possa visitare i banchetti con calma. Per capirci, non ci troverete mai ai Mercatini di Natale la cui filosofia non è certo quella di salvaguardare l’artigianato, ma è puramente commerciale.

Mentre con gli espositori?

Basta che uno abbia i documenti in regola per essere riconosciuto artigiano, poi sul banchetto può vendere quello che vuole, anche cose non di propria fattura perché non c’è nessuno autorizzato al controllo. Noi lo possiamo fare in qualità di soggetto privato e facciamo ritirare dalla vendita tutto quanto non è chiaramente autoprodotto.

Lei ad esempio cosa espone?

Nasco stilista, ma quando provavo a realizzare qualcosa di mio non riuscivo a trasformare il disegno in un vestito. Allora ho imparato a ricamare a macchina e a cucire e creo pupazzetti, bavaglini e tutto quanto mi viene in mente per i bambini.

La realizzazione più originale?

Direi le copertine da letto in rilievo con i paesaggi, gli alberi, gli animaletti in evidenza.

Al di là dell’utopia, si può vivere di mercatini?

L’ho premesso: ci si deve accontentare. Io ad esempio affianco ai mercatini un laboratorio; quasi nessuno di noi ha un vero e proprio negozio, poi ci sono il commercio in rete e il passaparola. Se si creano cose fatte bene e originali la richiesta c’è.

Un problema dell’associazione?

Sicuramente il ricambio generazionale. Sembra che i giovani non abbiano voglia o fantasia di creare. Certo il lavoro è duro, ma sa quanti di noi in questo modo si sono pagati le vacanze? Sarebbe bello che i giovani che disegnano, che costruiscono qualcosa ci contattino alla nostra pagina Facebook e noi saremo lieti di incontrarli.

C’è stata una soddisfazione particolare?

Anni fa venni contattata dall’ufficio commerciale della Thun di Bolzano che mi chiese una consulenza perché volevano affiancare alle tradizionali ceramiche anche una linea per bambini. Quando arrivai in azienda mi presentarono al gruppo dei dipendenti addetti a questa produzione dicendo che sarei stata l’unica referente e che avrebbero dovuto imparare da me.

Come andò a finire?

Per me bene comunque anche se dopo alcune consulenze delocalizzarono la produzione e da allora non ci furono più rapporti. Una soddisfazione frequente arriva tutte le volte che riesco a realizzare un’idea. Direi che la gratificazione sia il primo piacere di questo lavoro.

Al momento Artis è un’associazione di nicchia, cosa significa per lei l’associazione?

È come un figlio, nonostante le difficoltà non ho mai pensato di abbandonarla o di proporre ai soci di chiuderla. Dobbiamo essere riconoscenti perché fino alla crisi del 2008 ci ha aiutato a guadagnare molto bene e direi che durante la pandemia è servita per non impazzire, a trovare nuove idee per vendere, insomma è qualcosa che ci appartiene e che nessuno di noi ha intenzione di abbandonare.

Come sono i rapporti con i commercianti?

Sono stati ottimi fino alla crisi del 2008, poi quando hanno cominciato a vendere meno hanno iniziato a renderci la vita difficile. Per questo ad esempio abbiamo perso il mercatino di San Candido, frequentatissimo d’estate da turisti che non avevano problemi a spendere. E purtroppo non è stato l’unico caso, malauguratamente abbiamo idee diverse.

In che senso?

Per noi siamo un valore aggiunto, mentre per i commercianti l’esatto contrario. Molti dei nostri clienti non entrerebbero di certo in una boutique, ma in un bar, in un ristorante o in un negozio certamente sì. In tutti i casi il movimento gioverebbe di presenze in più che invece sono state perse. Purtroppo si sa che uno degli effetti della crisi è la guerra tra poveri, quando invece ci si dovrebbe sostenere.













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