La Fiom torna nelle mani di una donna

Manuela Terragnolo pronta a guidare i metalmeccanici. «Bisogna lavorare ancora molto per arrivare alla parità»


di Giulia Merlo


TRENTO. Non solo nei partiti politici, anche nei sindacati le donne trovano la strada in salita verso le posizioni di vertice. Certo, la dirigenza sindacale trentina può contare sul bellissimo esempio di una donna come Milena Demozzi, scomparsa prematuramente nel 2011, che venne eletta segretaria della Fiom nel 2003, ma il sindacato rimane ancora territorio prevalentemente maschile. Manuela Terragnolo, già membro della segreteria Fiom, nei prossimi giorni sarà eletta dal direttivo nuova segretaria del sindacato dei metalmeccanici. L’esordio è senza mezzi termini: «Le quote rosa sono assolutamente necessarie».

Il settore metalmeccanico è composto soprattutto da lavoro maschile. Le donne stanno riuscendo a trovare spazio?

I dati ci dicono che ancora l’80% dei metalmeccanici sono uomini, ma il settore è molto variegato, soprattutto al giorno d’oggi. Dipende dal tipo di produzione: in alcune fabbriche, dove per esempio è richiesta manodopera che svolga attività di precisione, la presenza femminile è decisamente alta e il rapporto tra il numero di uomini e donne si avvicina. Molte donne sono poi assunte col ruolo di impiegate, quindi si può dire che il settore si sia mosso un poco, anche se complessivamente quell’80% pesa.

In un settore a così alta prevalenza maschile, quali problemi incontrano le donne sul posto di lavoro?

I problemi sono esattamente gli stessi che qualsiasi donna incontra negli altri settori: inquadramento in posizioni meno qualificate e meno remunerate rispetto ai colleghi uomini e grossa difficoltà ad ottenere avanzamenti di carriera.

Anche all’interno del sindacato il numero di donne è ancora di molto inferiore rispetto a quello dei colleghi uomini, soprattutto al vertice.

In realtà lo statuto della Cgil prevede che ci sia una quota del 40% riservata al genere diverso. Dico di genere diverso perché nel settore metalmeccanico, ad esempio, quel 40% è riservato alle donne vista la prevalenza maschile, mentre in quello degli insegnanti, settore a prevalenza femminile, lo stesso 40% è riservato agli uomini. Il problema vero è che, nonostante questa quota riservata, spesso non si riescono a trovare donne disposte ad assumere l’incarico.

Si è data una spiegazione di questa assenza, nonostante la quota riservata?

Purtroppo la ragione è sempre la stessa: per le donne conciliare vita familiare, lavoro e sociale è decisamente più difficile. Gli uomini, piaccia o non piaccia, hanno più tempo libero da dedicare all’extra lavoro. Proprio questa situazione, che un limite culturale che ci portiamo dietro da troppi anni, crea una sorta di filtro alla base, che preclude alle donne un impegno sociale maggiore.

Parlando di quote rosa, sono davvero una soluzione per aumentare il numero di donne, sia in politica che nel sindacato?

Io sono assolutamente favorevole, senza se e senza ma. Conosco tutte le obiezioni mosse alle quote rosa e posso comprenderle a livello teorico, però bisogna misurarsi con la realtà concreta. Io credo che uno spazio per le donne vada creato, anche in maniera artificiosa se necessario, in modo da aprire finalmente un percorso. In futuro, quando la parità di condizioni sarà davvero raggiunta, anche le quote rosa diventeranno superflue.

A che punto siamo di questo percorso?

Decisamente indietro: il dato attuale è che le donne in posizione di vertice sono ancora troppo poche, e non solo al vertice. Purtroppo la precarietà lavorativa preclude alle giovani anche il percorso di base. Sempre più donne, infatti, vengono assunte in posizioni meno qualificate rispetto alla loro formazione, e questo dimostra quanto ancora bisogna lavorare per arrivare alla parità.













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