Il 23,5% dei trentini a rischio povertà 

Ora anche l’Ispat conferma il dato che era stato contestato dalla Provincia. In Alto Adige tendenza opposta


di Ubaldo Cordellini


TRENTO. La Provincia li aveva contestati, ma adesso la stessa Ispat (l’Istituto di statistica provinciale) li conferma. Sono i dati dell’Eurostat che indicano un forte aumento in Trentino delle famiglie a rischio di povertà o esclusione sociale. I dati dicono che nel 2004, ben prima della crisi economica, l’11,4% della popolazione era a rischio di povertà o esclusione sociale, mentre nel 2016 questa percentuale era salita fino al 23,5%. Quando il Trentino ha pubblicato questi dati, in febbraio, la Provincia, anche per bocca del presidente Ugo Rossi e del vicepresidente Alessandro Olivi, li aveva contestati con forza parlando di errori dovuti al campione troppo piccolo e, soprattutto, di dati in contrasto con tutta una serie di indicatori economici che indicano una tendenza al miglioramento del benessere.

Ma adesso gli stessi dati contestati vengono pubblicati dall’Ispat, l’istituto di statistica provinciale. E sono numeri che tracciano il quadro di una società fragile. Non povera, ma timorosa di diventarlo. Come detto, secondo Eurostat il 23,5% dei trentini è a rischio di esclusione sociale, il 15,7% è a rischio di povertà, mentre nel 2004 erano il 9,3%, il 9,9% è a rischio di deprivazione materiale grave, ma nel 2004 erano appena lo 0,5% e, infine, il 9% delle persone ha un’intensità lavorativa molto bassa, ovvero lavora meno del 60% delle ore, mentre nel 2004 erano il 2,9%. E’ impressionante il peggioramento in 12 anni. L’Ispat non pubblica i dati di raffronto, ma lo aveva già fatto l’Eurostat e il confronto con l’Alto Adige è disarmante.

Nel 2013, la percentuale della popolazione a rischio povertà nelle due province era simile: il 12,4% a Bolzano e il 13,2% a Trento. Ma dopo quattro anni questa distanza minima si è trasformata in un mezzo abisso. A Bolzano la quota di popolazione a rischio di esclusione sociale e povertà è scesa ancora, arrivando al 9,6%, uno dei risultati migliori d’Europa. A Trento, invece, la crisi ha colpito molto più duramente, tanto che la popolazione a rischio povertà è arrivata a quota 23,5 per cento. Ossia, in Trentino quasi un quarto dei residenti rischia seriamente di diventare povero, di non avere più i mezzi per vivere decentemente o per dare un’istruzione soddisfacente ai propri figli o per alimentarsi in maniera efficace o, ancora, per curarsi.

Rispetto al resto del paese, il Trentino è ancora messo bene, visto che la media della popolazione a rischio povertà in Italia rilevata da Eurostat veleggia al 30%, ma va comunque male rispetto al resto del nord. La media del nordovest è del 21%, la Lombardia è al 19,7%, e partiva da posizioni peggiori rispetto al Trentino. La media del Nordest è ancora migliore, con il 17,1% della popolazione a rischio povertà, con il Veneto che ha il 17,9% e il Friuli al 17,7%.

La Provincia aveva contestato questi dati con un comunicato ufficiale: «Il reddito medio è cresciuto, da 20.922 euro nel 2015 a 21.255 nel 2016. Le situazioni di grande difficoltà economica sono calate anch'esse, da 7,5 a 6,1%. Le trasformazioni da lavori instabili a stabili sono in crescita, erano 15,4% nel 2015, sono il 18,7% nel 2016. Questi dati non sono di fonte provinciale, sono dati Istat/Eurostat. Difficile quindi capire come mai secondo lo stesso Istat il Rischio povertà e esclusione sociale in Trentino sia cresciuto». Il professor Antonio Schizzerotto spiega che difficilmente l’Istat e l’Eurostat sbagliano: «Diciamo che la possibilità di errore è del 5%, anche se il campione è piccolo. Quel dato è frutto della somma di tre diversi indicatori, ma non vuol dire che il 23,5% delle persone è in stato di povertà. Significa che è aumentata la precarietà economica, che c’è un’elevata esposizione al rischio di diventare poveri. Questo è dovuto anche al fatto che il lavoro a termine o quello part time hanno ha preso il posto del lavoro a tempo indeterminato».

Il segretario della Cgil Franco Ianeselli spiega che, più della povertà, è aumentata la percezione dell’instabilità: «La società è più fragile e teme di poter perdere all’improvviso il proprio benessere. E’ aumentata la percezione della fragilità e si è visto anche un certo peggioramento della qualità del lavoro».















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