«Devi decidere, non puoi tornare indietro» 

Il racconto del vice capo della Protezione Civile Cristofori: «Abbiamo fatto il possibile, ma siamo stati vinti dalla natura»


di Francesca Quattromani


TRENTO. «Vittorio, non ho mai visto una cosa del genere». Poco dopo le 22 di giovedì 25 ottobre, Vittorio Cristofori, vice capo della protezione civile trentina abbassa il telefono. Lo ha chiamato Fabio. «In trent’anni non ho mai visto delle previsioni di pioggia di questo genere. Sono numeri altissimi» aveva detto Fabio. La macchina della Protezione civile, dopo questa telefonata, di fatto era già partita. Sul Trentino si stava per abbattere una tempesta che non si era mai vista. Al termine del ricordo di qui giorni, Cristofori sospira, la voce si piega.

«È stato un miracolo, il bilancio poteva essere ancora più tragico. La macchina ha retto, straordinari gli uomini, ma è stata una sconfitta: una donna ha perso la vita sotto una colata di detriti, a Dimaro. Le decisioni? Prese collegialmente, emanate dal capo della Protezione civile, sono state tante. Giorni senza sonno e quando devi decidere non puoi tornare indietro».

Giovedì 25 ottobre. Sui grafici la pioggia prevista e la modellazione dei corsi d’acqua principali. «Secondo i dati, 200 millimetri di pioggia, in media. Numeri impressionanti. Poi sarebbero arrivati ad una media di 250 millimetri. All’inizio, secondo i dati, l’Adige sarebbe straripato. Eravamo lontani dal fenomeno, le previsioni potevano cambiare, ma si capiva già la portata dell’evento. Abbiamo convocato la Sala dove partecipavano Meteo Trentino, Protezione Civile, Ufficio Dighe e Bacini Montani. Elaborazioni ogni tre ore, da quel momento quella Sala avrebbe funzionato ventiquattr’ore su ventiquattro. Focalizzati sul rischio di alluvioni, si monitoravano Adige e Brenta, i due punti più critici. Cercavamo di capire cosa potesse succedere. Il quadro generale era allarmante, abbiamo iniziato a diramare le Allerte».

Venerdì 26 e sabato 27 ottobre, allerta arancione, rossa i quattro giorni successivi. «L’allerta rossa non era mai stata emanata, negli ultimi 15 anni, da che esiste questo sistema di allerta. I livelli sono disciplinati a livello nazionale. Con il rosso c’è un severo rischio per l’incolumità pubblica.

Sabato 27 ottobre. «Abbiamo avvertito tutti i sindaci e tutta la macchina della Protezione civile. Dovevano verificare, nei loro piani, qual’era la situazione ed attivarsi. Intanto le previsioni meteorologiche dicevano che c’erano forti piogge, il rischio idraulico allarmava. Sapevamo che tanta pioggia crea anche un rischio idro geologico, con pericolo di frane, che sono imprevedibili.

Sapevamo che ci sarebbe stato anche vento forte, in particolare in quota, ma nessuno poteva prevedere i danni che poi ha fatto». Dal 26 è stata attivata la Sala operativa provinciale, il massimo organo di gestione dell’emergenza da parte della Protezione civile. Convocati tutti gli enti che possono essere interessati dal fenomeno, vengono prese delle decisioni in base alle indicazioni in divenire. Grave la situazione dei fiumi

Il 28 ottobre. Sui fiumi si poteva intervenire per ridurre la quantità d’acqua. Parte l’ordine dal capo della protezione civile, Stefano De Vigili. «Svuotare le dighe». L’operazione è moto delicata, viene fatta assieme ai gestori idroelettrici su Santa Giustina, Stramentizzo, Ponte Pià, in val Noana, Forte Buso, in cima all’ Avisio e su altre dighe minori. «Rilasciate l’acqua». In quel momento, il potere del concessionario idroelettrico viene meno: per legge comanda il capo della Protezione Civile, De Vigili. La gestione dei flussi di piena è complessa e si basa sulla lettura di modelli matematici.

Un altro ordine che verrà impartito poi, dopo 20 anni, riguarda l’apertura della galleria Adige-Garda. «Aprite le chiuse». La galleria scolmatrice, alla fine, avrebbe rilasciato 350 metri cubi al secondo d’acqua, in totale 17 milioni e mezzo di metri cubi in 14 ore. Un’ opera a difesa del basso Trentino, del Veneto e di Verona.

Il 29 ottobre, al mattino, l’ Adige pareva essere sotto controllo, destinato a rimanere nei limiti. «Eravamo un po’ sollevati- ricorda Cristofori- ma proprio in quel momento, nel pomeriggio di lunedì, in poche ora hanno iniziato a cedere tutte le strade. Il terreno si è saturato d’acqua, si sono sviluppate frane su tutto il territorio, associate al forte vento che era previsto, ma che si era manifestato proprio in quel momento. Alberi sradicati, tetti scoperchiati, tutto sembrava precipitare. Strade interrotte su tutto il territorio provinciale, gravi mancanze di corrente elettrica, in varie parti del Trentino. Nell’alta e media tensione abbiamo avuto rotture delle tubazioni del gas principale, in particolare nelle valli di Fiemme e Fassa. Anche il riscaldamento era in crisi. Notizie di eventi disastrosi arrivavano da tutto il Trentino. E poi la tragedia, Dimaro». La macchina della Protezione Civile con la catena di comando e controllo definita in “tempo di pace” era chiara fin da subito; il lavoro di prevenzione e pianificazione l’arma in più, durante l’evento eccezionale. Lunedì il giorno peggiore, frane, alluvione, un vento imprevedibile per potenza distruttiva, tagliate piante, acqua, gas, telecomunicazioni, i servizi essenziali. Nei giorni successivi. «Vai avanti con la forza che hai dentro, solo dopo ho realizzato l’accaduto. Abbiamo lavorato giorno e notte, 4.500 uomini al giorno, persone eccezionali, in ogni comparto. Siamo stati vinti dalla natura però, nonostante sia stato fatto il possibile. Una donna è morta sotto i detriti, un uomo colpito da un fulmine. Questo fa male. Se penso però agli alberi caduti...Un miracolo che non ci siano stati altri morti».













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