LA STORIA

«Contagiata per un abbraccio e messa alla gogna sulle chat» 

Una studentessa trentina positiva al Covid-19 racconta la sua esperienza


Marco Weber


TRENTO. È bastato un abbraccio. Sofia (il nome è di fantasia) è una studentessa universitaria trentina che è risultata positiva al coronavirus e oggi è a casa in quarantena, così come in quarantena sono per sicurezza anche gli altri componenti della sua famiglia.

«Mi è arrivata una telefonata dall'azienda sanitaria – afferma Sofia - nella quale mi si diceva che avevo avuto contatti con una persona risultata positiva al coronavirus e che quindi dovevo rimanere in quarantena. Dopo qualche giorno mi è arrivata la febbre e quindi mi hanno fatto il tampone che ha confermato la malattia. La persona che mi ha contagiata è stata corretta: mi ha telefonato per dirmi di essere positiva al coronavirus. Ci eravamo incontrati e ci eravamo salutati con un abbraccio. Ovviamente non sapeva di essere positiva al coronavirus, l’ha scoperto qualche giorno dopo perché ha iniziato ad avere i sintomi ed è stata sottoposta al test».

Che effetto ha fatto la telefonata dell’azienda sanitaria? «Ovviamente tanta preoccupazione, parecchia sorpresa e anche rabbia. Non è piacevole sapere di poter essere positivi a una malattia come questa. E non è bello dover rimanere chiusi in una stanza per tanti giorni. Però c’era e c’è ancora la consapevolezza che è la cosa giusta da fare».

Poi sono arrivati i sintomi, il tampone e la certezza della positività. Il fatto che Sofia sia a casa è un segnale positivo, evidentemente non si tratta di una forma acuta della malattia. La febbre, arrivata nei primi giorni, adesso è passata.

Bisogna solo aspettare che tutto si sistemi, senza uscire di casa. «Certo è stato ed è ancora molto difficile isolarsi con la sola compagnia del cellulare e del computer. Ma come qualcuno ha detto sul web, i nostri nonni hanno dovuto combattere la guerra in trincea, mentre a noi si chiede solamente di stare a casa a guardare la tv. Non è difficile, invece sembra impossibile a giudicare dal comportamento lavativo che hanno ancora molte persone. Questo anche dopo l’ordine restrittivo del Governo».

Sofia ne ha anche per coloro che affermano sarebbe giusto che il suo nome e quello degli altri ammalati fosse reso pubblico: «Non è opportuno che l’intera popolazione sappia nome e cognome delle persone contagiate, perché la gente non è in grado di usare queste informazioni nel modo corretto come invece sa e deve fare l’azienda sanitaria. Capisco la paura, ma sta diventando una caccia alle streghe. Hanno messo il mio nome in una chat della quale io non faccio parte violando la mia privacy, scrivendo informazioni sensibili di tipo medico sul mio conto. Potevano parlare tra di loro al telefono anziché mettere tutto in una chat. Capisco che la velocità del virus e le incertezze che tutti abbiamo al riguardo siano motivi più che legittimi per avere paura, ma non lo possono essere per additare i contagiati come untori».

Sofia conclude con un appello: «State a casa. In fondo stare sul divano davanti al computer o alla televisione non ha mai ucciso nessuno. E se proprio dovete uscire, rispettate le distanze di sicurezza. A me - conclude con amarezza òa studentessa universitaria - è bastato un semplice abbraccio per essere contagiata».

 













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