Cani alla catena, siamo i più “cattivi” d’Italia 

Il Caso della settimana. Il Trentino è l’unico territorio che non considera maltrattamento questa pratica. Russi (guardie zoofile Enpa): «Legge da rivedere, gli animali così soffrono»


Luca Petermaier


Trento. Il nucleo delle guardie zoofile dell’Enpa (le uniche a poter intervenire, oltre che su chiamata, anche su iniziativa propria) ogni anno affronta una sessantina di casi di presunti maltrattamenti di animali. Ne vedono (ancora) di tutti i colori, purtroppo, nonostante l’attenzione al benessere dei cani si sia gradualmente elevata nel corso degli ultimi anni. «Il caso più brutto che mi sia capitato? È accaduto ad Arco - spiega il capo del Nucleo zoofilo Antonio Russi - quando abbiamo scoperto un cane che da molti anni ormai era costretto a vivere recluso su un piccolissimo poggiolo, sotto il sole cocente d’estate e al freddo d’inverno. Siamo riusciti a farlo sequestrare ai proprietari dopo un lungo lavoro e ora quel cane ha avuto il suo riscatto: adesso vive felice in Piemonte presso una famiglia di ricconi e fa il bagno in piscina col proprietario. Purtroppo, però, non sempre i nostri interventi sul territorio hanno un simile lieto fine».

Il problema dei cani alla catena

Sì, perché in Trentino la maggior parte delle chiamate per presunti maltrattamenti riguarda ancora cani tenuti alla catena. Succede che la legge provinciale numero 4 del 2012 - giunta con quindici anni di ritardo rispetto alla norma nazionale che disciplina il tema del randagismo - non consideri reato il tenere il cane alla catena. «La norma - spiega Russi - dice che il cane “possibilmente” non deve stare a catena e se ci sta la catena deve essere lunga quanto basta e scorrevole, tutto qui». Quindi se un cane riesce ad entrare nella propria cuccia e a raggiungere la ciotola del cibo, per la Provincia di Trento non ci sono problemi. Quanto allo spazio di movimento per l’animale, questo non è un aspetto affrontato dalla norma provinciale. Tutto ciò, va precisato, non avviene in alcun’altra regione d’Italia, dove il tenere il cane a catena è considerato unanimemente un maltrattamento di animale e come tale punibile come reato.

Le difficoltà di intervento

È evidente che, in questo contesto, le difficoltà di intervento delle guardie zoofile trentine sono notevoli. Primo perché non ci sono reati da punire e secondo perché la legge è talmente generica da rendere complicata l’individuazione di una punizione. «Noi ci arrabattiamo come possiamo» - continua Russi. «Io, per esempio, ho deciso di prendere a riferimento una sentenza della Corte di Cassazione del 2014 secondo la quale la catena dell’animale deve essere lunga almeno cinque metri e all’interno di un box di almeno sei metri quadri. Tenga presente che la legge provinciale, dei box, non parla nemmeno: per questo io la chiamo la “legge aborto”. Per modificarla ci siamo battuti tanto».

Allontanare i cani? Uno choc

Può sembrare strano, ma allontanare dal padrone un cane tenuto a catena può rappresentare uno choc per l’animale. Per questo le guardie zoofile, prima dell’eventuale sequestro, “ammoniscono” il proprietario intimandogli di allungare la catena. Se nei successivi controlli la situazione migliora allora si tende a lasciare il cane a casa sua, «altrimenti siamo costretti a procedere al sequestro» - conclude Antonio Russi.













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