Aiuti per figli rimpatriati, denunciate dieci famiglie

Giudicarie, l’indagine della polizia locale partita per l’abbandono scolastico Il comandante Bertuzzi: «Incassavano il contributo, ma i minori non erano qui»


di Ettore Zini


GIUDICARIE. A scuola per giorni non si sono più presentati. Da qui sono partite le indagini degli agenti della Polizia Locale della Valle del Chiese, per smascherare l’indebita percezione di contributi e assegni di sostegno al reddito, da parte di una decina di famiglie di extracomunitari e comunitari, residenti nella zona di Storo.

Si tratta di alcuni minori che frequentavano gli istituti della scuola dell’obbligo della zona, che, tutto d’un tratto, hanno smesso di frequentare regolarmente le lezioni. Le verifiche, iniziate solo al fine di determinare il rispetto dell’assolvimento dell’obbligo scolastico, hanno consentito di far venire a galla anche l’indebito ritiro di contributi, sia per assegni di sostegno al reddito familiare, sia per contributi per affitti, che le famiglie con redditi bassi percepiscono dagli uffici della Comunità di Valle.

«In pratica, il perdurare dell’assenza degli alunni, denunciata dai responsabili della scuola – lo ha confermato il comandante del locale corpo di polizia Stefano Bertuzzi - era dovuto al fatto che i ragazzi non erano più presenti in Italia. Ma, evidentemente, erano tornati nei loro paesi d’origine». I genitori però si erano ben guardati dal notificare la cosa. E continuavano a percepire emolumenti di cui non avevano più diritto. Nei mesi di aprile e maggio, gli agenti della polizia locale della Valle del Chiese hanno eseguito una serie di verifiche incrociate. Riuscendo ad appurare la verità. I minori erano stati rimpatriati nelle terre di provenienza. Mentre i familiari seguitavano a presentarsi agli sportelli a ritirare sussidi non più spettanti.

«Ora – ha spiegato il responsabile della polizia locale della Valle del Chiese Bertuzzi – tutte le posizioni accertate comporteranno la richiesta di restituzione di quanto percepito. Oltreché, ovviamente, alla sanzione di pari valore delle somme intascate». Operazione non facile, però. E comunque dalle notevoli lungaggini burocratiche. Di cui, il comandante Bertuzzi ricorda la gravità e la scorrettezza del comportamento, regolato dall’articolo 316 ter, del Codice penale.

In questi casi, la punizione da comminare prevede pene detentive da tre ai sei mesi. Ma, quando le somme percepite illecitamente sono inferiori ai 4 mila euro (3.999,96 euro, dice il Codice), può essere applicata solo una sanzione amministrativa in denaro, da 5.164 e 25.822 euro. Non potendo comunque superare il triplo del beneficio conseguito. Un codicillo chiarissimo. Che non spiega, tuttavia, in che tempi e che modi sarà possibile far rientrare le somme erogate dalla pubblica amministrazione.

«Nella decina di casi esaminati – fanno sapere del resto i vigili urbani – gli indebiti non hanno mai superato la cifra che determina la sussistenza del reato. Quindi non ci saranno conseguenze penali, ma solo amministrative. Più ovviamente la revoca dei benefici di assegni familiari e contributi».

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