A Cogolo va in scena la storia dei “paroloti” e altri migranti 

La ricerca storica. L’ha fatta il gruppo teatrale dell’Ecomuseo della Val di Peio per riscoprire un periodo durato duecento anni. Molti ramai solandri fecero fortuna in varie regioni d’Italia



Peio. “Col magòn, storie di paroloti e altri migranti della Val di Peio” è un progetto che ha l’obiettivo di riscoprire il periodo storico che ha segnato profondamente la Val di Peio in un arco di duecento anni, in particolare le motivazioni che spinsero tante persone a emigrare. Ma l’intento è anche quello di riscoprire la figura dei “paroloti”, i ramai, tanti dei quali con impegno e fatica fecero fortuna in diverse regioni italiane, creando dinastie di imprenditori.

Curiosità e ricerca storica sono state le basi del lavoro del Gruppo teatrale dell’Ecomuseo della Val di Peio “Piccolo Mondo Alpino”, che ha ripercorso il fenomeno della migrazione nella valle predisponendo, con il coordinamento di Guido Laino e Marta Marchi, registi e attori di “un percorso di ricerca, scrittura e messinscena”.

Lo spettacolo

Domani alle 21 in via delle Cort, con inizio alle 21 (in caso di maltempo mercoledì stesso luogo, stessa ora) lo spettacolo (a ingresso gratuito) “Col magòn, storie di paroloti e altri migranti della Val di Peio” verrà portato in scena a Cogolo. Saranno raccontate molte storie di migranti, fatte conoscere dai discendenti e riportate alla luce dal gruppo teatrale. Tra tante spicca una singolare figura, quella di padre Adriano da Cogolo, missionario in Armenia Turca verso la fine dell’Ottocento, morto nel 1900 in odore di santità, che nella sua giovinezza praticò proprio il mestiere del “parolot”.

Nei secoli scorsi i mezzi di sostentamento della gente delle regioni e delle valli apine erano soprattutto i prodotti agricoli, il bestiame e il bosco. Così, verso il Settecento, obbligati dalla scarsità se non addirittura dall’assenza di lavoro, molti uomini dell’alta Val di Sole e della Val di Peio furono costretti a emigrare. Iniziarono quindi le migrazioni dei ‘paroloti’ o ‘ciapère’, i ramai e calderai ambulanti che in un primo tempo furono stagionali e più tardi si fecero permanenti.

Tutti verso l’Italia

L’emigrazione della Val di Peio fu sempre rivolta in prevalenza verso le regioni “italiane” (al tempo il Trentino apparteneva all’Impero Asburgico). Il governo austriaco non vedeva di buon occhio l’emigrazione, ciononostante non espresse mai una legge organica per proibirla, ma impose limitazioni volte a scoraggiarla, preoccupato per l’assottigliarsi della popolazione e del potenziale esercito. A differenza di altre regioni italiane, i trentini avevano un vantaggio proprio per l’appartenenza all’Impero: sapevano leggere e scrivere. Nella seconda metà dell’Ottocento, invece, fu il continente americano la nuova “destinazione ideale” per gli emigranti trentini in cerca di una vita migliore, per sé e per i propri cari. F.B.















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