commezzadura

La triste storia di Bianco, il cane vissuto (e morto) in solitudine

Il recinto in cui  quasi del tutto oscurato dai teli, si era scavato un sentiero tra l’erba incolta che gli impediva di muoversi liberamente. Ivana Ravanelli più volte aveva denunciato la sua situazione di incuria



TRENTO. Bianco non solo è morto da solo, ma lo hanno trovato all'interno del recinto che era diventato il suo mondo, almeno un giorno dopo la sua morte. Del resto difficilmente poteva succedere diversamente dal momento che era stato relegato all'interno di una recinzione oscurata da teli verdi per tre lati su quattro.

Da quello libero poteva guardare un prato sul quale avrebbe corso volentieri, ma nessuno ce lo ha mai portato. Quel lato libero però gli permetteva di ricevere le coccole di chi passava dalla strada. Bianco era un cane solitario, al quale è stato impedito di socializzare con i suoi simili e con gli umani come dovrebbe essere un diritto di tutti gli animali.

“Non so nemmeno se realmente si chiamava Bianco, ma quello è il nome che gli ho dato e al quale rispondeva scodinzolante”. A raccontare è Ivana Ravanelli che da tre anni ha seguito la situazione: “Tre anni nei quali ho fatto di tutto per portarlo via da quell'inferno: ho perfino pensato di rapirlo. Ho fatto intervenire i veterinari dell'Azienda Sanitaria, per i quali per il benessere di Bianco ritenevano sufficiente che avesse da bere e da mangiare”.

Perché per lei Bianco era un cane maltrattato? “Un cane non ha bisogno solo di bere e mangiare, ma anche di sentirsi amato, di interagire con le persone e gli altri cani. Le foto parlano da sole. Bianco si era scavato un sentiero tra l’erba alta ed incolta che gli impediva di muoversi liberamente. Viveva sempre solo e all'aperto con qualsiasi stagione. Questa non è vita, piuttosto che tenere un cane in queste condizioni, sarebbe meglio rinunciare”.

Ivana Ravanelli ha affidato ad alcune toccanti frasi il ricordo di Bianco: "L’ultima volta che sono passata da te, le sterpaglie di un anno fa avevano lasciato il posto ad un terreno fangoso e umido, il sentiero battuto che raccontava dei tuoi movimenti, sempre uguali, le ciotole sporche e arrugginite dove ti veniva dato il cibo, erano in un angolo, vuote, la cuccia sollevata da terra fatiscente e spoglia, il tetto rosicchiato, una vecchia coperta di lana sporca e umida ammucchiata davanti al cancelletto, qualche osso sparso qua e là, ciuffi del tuo manto trascurato che risaltavano come piccoli fiori sul suolo scuro, i grandi teli verdi che circondavano tutto lo spazio impedendoti di vedere all’esterno, tutto era al suo posto come un anno fa, tutto testimoniava la negligenza e l’abbandono totale di cui eri vittima, l’omertà di chi sapeva e non faceva nulla, l’indifferenza di chi asseriva che stavi bene, che tutto era regolare, l’inefficacia di una legge che non protegge coloro che non hanno voce, l’ipocrisia di una società che si dimostra debole con i forti e forte con i deboli, l’assenza delle istituzioni i cui membri troppo spesso non hanno tempo per quelli come te. Tutto uguale, solo tu non c’eri, ho provato a chiamarti ma il tuo silenzio ha fatto nascere in me presagi cupi e tristi. Mi sono illusa per un attimo, che qualcuno mosso da pietà ti avesse portato fuori, a vedere finalmente un po’ di mondo anche se le tue condizioni mi dicevano che era poco probabile. Ti ho chiamato, Bianco, con questo nome che ti ho dato ma che ti era sconosciuto e ho provato una stretta al cuore immaginando il peggio. Poi, ieri, qualcuno che conosceva e aveva denunciato il tuo calvario, mi ha detto che ti hanno trovato già freddo e irrigidito dal rigor mortis, 24 ore dopo, in un giorno qualunque di fine ottobre. Sei morto solo, così come hai vissuto, in una fredda notte d'autunno, nella sofferenza, provato da una malattia ormai in stato avanzato che non lasciava scampo ma che come un angelo buono è arrivata per portarti via dalla tua miseria ponendo pietosamente fine alle tue sofferenze e alla tua infelice esistenza. Vorrei essere stata con te quando l’angelo della morte è venuto a prenderti, chissà cosa stavo facendo quando hai esalato l’ultimo respiro. Ma ora voglio dimenticare quella tua espressione triste, dimessa e rassegnata, voglio pensarti così, Bianco, felice in un posto di luce dove vivrai la vita che non hai mai avuto, amato coccolato e viziato, in una casa, la tua casa, davanti ad un fuoco che ti scalda in queste gelide notti autunnali, vicino ad altri compagni umani che conoscono il rispetto e l’amore per gli altri esseri viventi”.













Scuola & Ricerca

In primo piano