Contro la cimice asiatica le vespe samurai nei boschi  

Val di non. Le vespe samurai (Trissolcus japonicus) sono pronte a risolvere il problema delle cimici asiatiche (Halyomorpha halys), vero flagello delle coltivazioni ortofrutticole della valle così...



Val di non. Le vespe samurai (Trissolcus japonicus) sono pronte a risolvere il problema delle cimici asiatiche (Halyomorpha halys), vero flagello delle coltivazioni ortofrutticole della valle così come di gran parte di quelle del Nord.

L’introduzione di questo antagonista naturale alla cimice asiatica è stata ampiamente studiato dal Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria. Sul territorio provinciale il progetto è stato preso in carico dalla Fondazione Edmund Mach, che in collaborazione con Apot, già lo scorso febbraio aveva iniziato a chiedere collaborazione alla cittadinanza nella raccolta e consegna di campioni di cimice, per contribuire a riprodurre in laboratorio la vespe samurai – essendo necessaire infatti grandi quantità di uova per alimentare gli allevamenti presso i laboratori di San Michele all’Adige.

Il danno provocato nel 2019 dalla cimice asiatica nell’ultima campagna nelle frutticoltura del Nord Italia è stato stimato in circa 600 milioni di euro,senza considerare le ricadute sul settore industriale.

L’inserimento della vespa samurai, fortemente voluto dai frutticoltori, consentirà anche di fare un deciso passo avanti per la riduzione dei trattamenti fitosanitari. «La lotta biologica alla cimice asiatica attraverso un antagonista naturale come la Trissolcus Japonicus è un altro tassello nella costruzione di una nuova agricoltura, sempre più sostenibile, - sottolinea Alessandro Dalpiaz, direttore di Apot - un’operazione che ben si colloca tra le iniziative sul territorio inserite nel nostro “Progetto Trentino Frutticolo Sostenibile”. Ci vorranno comunque almeno tre anni prima che l’insetto si riproduca stabilmente nei nostri campi. Nel frattempo, continueremo a muoverci privilegiando gli strumenti fisici ed agronomici rispetto ai mezzi chimici, da usare solo in caso di rischio particolarmente elevato, per accompagnare le aziende verso una situazione di tranquillità ed equilibrio».

Inizialmente il parassitoide verrà introdotto negli ambienti naturali, boschi, siepi, aree non coltivate, laddove ci sono piante ospiti per la cimice che ne consentono la riproduzione e da dove la stessa può migrare massicciamente nelle colture agricole.

«Il numero di siti in cui si eseguiranno i rilasci dipenderà dalla disponibilità di parassitoidi che si riuscirà ad allevare» - fanno notare all’Istituto agrario di San Michele. E siccome questo dipende della quantità di uova di cimice che verranno prodotte in laboratorio, è fondamentale che tutti i cittadini collaborino in questo importante progetto contattando i tecnici della Fondazione E. Mach di zona in caso di rilevamento di cimici vive (almeno 20 esemplari) per prenotare il ritiro a domicilio. G.E.

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