Lavis, contro il Coronavirus un nuovo voto alla Madonna 

La richiesta al parroco. Per don Vittorio Zanotelli si può fare, ma la decisione non dipende da lui e da nessun’altra autorità ecclesiastica. Così come nel 1702, dovranno essere i cittadini ad esprimersi condividendo questo desiderio  


DANIELE ERLER


Lavis. Nel 1702, qualche anno prima che Napoleone passasse per il paese, Lavis decise di fare un voto alla Madonna. Chiese di proteggere la borgata dalle continue inondazioni del torrente Avisio e dai temibili insetti che in quei tempi infestavano le campagne. Allora, il destino di intere famiglie era legato ai cambiamenti naturali. Bastava una stagione difficile per condannare una buona parte del paese alla fame. Da quel giorno, il voto fu rinnovato di anno in anno, nei primi tempi il lunedì di Pasqua, più di recente nella giornata dell’8 settembre.

L’impegno preso da Lavis era di esporre la statua della Madonna in chiesa e di portarla poi in processione, cosa che poi puntualmente avviene ogni anno, anche ai giorni nostri. I nonni del paese ancora ricordano come il voto fu rinnovato anche ai tempi della guerra, quando in cielo fischiavano gli aerei che cercavano di abbattere con le bombe il ponte dei Vodi, senza mai riuscirci. Così oggi – mentre il mondo è funestato dalla pandemia che non risparmia neppure Lavis e la sua casa di riposo – c’è chi ha chiesto al parroco, don Vittorio Zanotelli, di fare un altro voto alla Madonna. E lui ha risposto, spiegando che vanno bene la devozione e le preghiere. Ma la questione del voto è ben altra cosa. Non è poi così semplice come potrebbe sembrare.

In sostanza, il nodo essenziale è questo: non può essere la parrocchia che porta avanti, da sola, questa iniziativa. Nel 1702 il voto fu proposto dall’assemblea dei vicini. Semplificando un po’, era l’equivalente di antico regime dell’attuale consiglio comunale: era un’assemblea che riuniva i rappresentanti dei vari territori. «Il voto non fu deciso dalla parrocchia o da altra autorità ecclesiastica – spiega don Vittorio –. L’assemblea dei vicini era un’assemblea convocata a norma di legge e di essa fu fatto un regolare atto notarile. Pertanto il voto “appartiene” alla comunità di Lavis. Ovvero a tutti coloro che abitano qui. La chiesa parrocchiale è semplicemente, per così dire, il “mezzo” attraverso il quale si attua il rinnovo del voto. E il parroco non ha titolo per decidere in merito».

Nel corso degli anni, al voto del 1702 si aggiunsero motivazioni specifiche: la guerra appunto, ma anche altre epidemie, come quella del colera. Così, a qualche fedele lavisano è sembrato naturale proporre un aggiornamento del voto, con un riferimento specifico al coronavirus. «Ma questa richiesta deve essere condivisa dalla comunità, non basta che provenga da dieci o venti persone. È necessario anzi che la comunità si esprima in qualche modo», dice don Vittorio. Ma come? L’assemblea dei vicini non esiste più. «Nelle attuali circostanze, non si può pensare a un’assemblea o ad una raccolta firme. Un modo per esprimersi potrebbe essere questo: scrivere una mail o telefonare al parroco e al sindaco, specificando chi e quanti sono coloro che fanno la richiesta. Un mezzo vale l’altro: l’importante è capire se e quanto questa proposta è condivisa o meno. Se fosse largamente condivisa, si vedrà poi come esprimere ufficialmente questa “nuova motivazione” al voto. Chi condivide questa proposta dovrebbe farlo sapere, in un modo o nell’altro. Ed eventualmente potrebbe farsi tramite per far conoscere questa possibilità».















Scuola & Ricerca

In primo piano