IL CASO

Coronavirus, la primaria Erne su Ortisei: «Il risultato dei test rapidi non significa immunità» 

Molti gli esami immessi dalle aziende sul mercato: «Hanno un margine di errore alto, aspettiamo indicazioni certe dall’Istituto Superiore di Sanità» 

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Fausto Da Deppo


ORTISEI. «I test anticorpali per individuare eventuali soggetti che sono entrati in contatto col Coronavirus, sono in fase di validazione. Al momento sono molti i test immessi da aziende private sul mercato e quelli di cui disponiamo possono contare per ora sulla sola validazione accertata dalla specifica ditta produttrice».

Elke Maria Erne, primaria del reparto di malattie infettive all’ospedale San Maurizio di Bolzano, invita alla prudenza nel considerare i test sierologici avviati da alcuni giorni dai sanitari della sezione medica dell’hotel Adler Balance a Ortisei, test che avrebbero espresso per i primi 456 casi analizzati un risultato significativo, mostrando che il 49% di chi finora si è sottoposto all’esame risulta essere effettivamente entrato in contatto con il coronavirus. Il che, va detto e ribadito a chiare lettere, è una cosa completamente diversa dall’essere immune. Il test “fotografa” una positività passata, ma non dice assolutamente nulla sull’immunità futura, cioè sul fatto di non potersi contagiare. «Stiamo aspettando – aggiunge la primaria – che l’Istituto superiore di sanità completi le proprie verifiche sui vari test resi disponibili e che infine ci invii i test che hanno superato le procedure e sono stati validati. Ricordo che per confermare questo superamento è necessario che un test ottenga il 95% di sensibilità e un analogo 95% di specificità. E sono pochissimi i test che raggiungono questo standard di qualità.

Può spiegare questi due termini, sensibilità e specificità?

«Per sensibilità si intende l’incidenza dei cosiddetti falsi positivi sul numero di contagiati rivelati all’interno del campione esaminato. Insomma, più sono i falsi contagiati (con anticorpi ma senza aver sviluppato infezione) segnalati dal test e più si abbassa la sensibilità dell’esame stesso. Al contrario, la specificità si riferisce al numero dei falsi negativi, cioè dei falsi immuni segnalati (assenza di anticorpi in presenza di infezione), e anche in questo caso più è alto il valore erroneo indicato più il test rischia di non poter essere validato».

Ma come giudica l’iniziativa presa e attuata a Ortisei?

«Non conosco bene i termini di somministrazione del test. Credo possa dare un quadro della diffusione del virus, un quadro molto specifico, circoscritto nel tempo, nello spazio e nel campione di persone che si sottopongono al test».

A cosa serve di fatto un test anticorpale?

«Se è valido ed evidenzia degli anticorpi, un test del genere monitora la o le persone entrare in contatto con il virus. Si tratta di un test indiretto, rispetto ai test diretti, quelli per intenderci che vanno alla ricerca del virus con l’effettuazione del tampone. I test anticorpali hanno un valore relativo dal punto di vista clinico, ma comunque possono avere una valore preciso dal punto di vista epidemiologico indicandoci quanto un virus si è diffuso in una certa area. Sempre che, ripeto, siano test validati e possano contare su un campione significativo di soggetti a cui sono stati somministrati. E il campione dipende da una serie di variabili, dal numero di persone sottoposte al test alle classi di età a molto altro. Come detto, la queastione è molto complessa».

 













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