L’INTERVISTA »MALIKA AYANE

TRENTO. Doppio appuntamento quello con Malika Ayane, che sarà questo fine settimana in Trentino in tour nella sua doppia veste quella teatrale e quella nei Club. Fa tappa infatti in Auditorium Santa...


di Katja Casagranda


TRENTO. Doppio appuntamento quello con Malika Ayane, che sarà questo fine settimana in Trentino in tour nella sua doppia veste quella teatrale e quella nei Club. Fa tappa infatti in Auditorium Santa Chiara di Trento ore 21 domenica 3 febbraio il “Domino Tour teatrale”, mentre nella forma più asciutta ed intima, sabato 2 febbraio, la Ayane si esibisce per la versione club del tour allo Smart Lab di Rovereto, ore 21. Duplice anima quella per il tour del disco uscito in autunno 2018 “Domino”, quinto progetto discografico dell’artista che segue a “Naif”. Se quindi allo Smart Lab Malika Ayane presenterà una scaletta di brani in versione essenziale, a Trento invece l’artista si esibisce in uno show caratterizzato da suoni morbidi e pieni, con una ricerca di sonorità finalizzata ad avvicinare i brani di repertorio a quelli inediti. Sul palcoscenico Malika è accompagnata da Daniele Di Gregorio alla marimba, Carlo Gaudiello al piano, Marco Mariniello al basso, Nico Lippolis alla batteria e Jacopo Bertacco alla chitarra. Di questo e altro la cantante ha raccontato in attesa di ascoltarla dal vivo.

Ad ogni disco e tour corrisponde un nuovo abito e una nuova pelle e magari pure un cambio di look, cosa ci racconta di Malika Ayane “Domino”?

«Si confermo che è una mia esigenza, quella di comunicare anche esteriormente un qualche cosa che non affido solamente alla mia musica. Se nel mio quotidiano va bene il jeans con la maglietta, lo spettacolo e la mia musica invece richiede un preciso abito. Per l’ occasione volendo rimanere nel concreto ci sono nello show ben cinque cambi di look che si legano ai vari blocchi di canzoni e ogni vestito ha un suo colore. Abbiamo giocato con i colori rosso, bianco e nero che si abbinano alle tessere del domino, il gioco da cui prende anche il nome il mio disco. Gioco con completi e abiti lungi che ho scelto nel mio guardaroba aprendo il mio armadio ma quello che preferisco è un completo bianco preso da Zara a cui abbiamo applicato una serie di medaglie a mano. Diciamo che è il capo simbolo del disco perché appunto le medaglie ricordano i pois delle tessere del domino. Se dovessi fermare con una foto simbolo questo disco e questo tour, sarebbe questa con questo costume».

Quindi la teatralizzazione è importante?

«È un gioco ed è comunicazione e la dimensione teatrale mi permette di approfittarne. Mentre la dimensione club che è più intima ed essenziale ovviamente non sarà teatralizzata ma molto normale».

L’abito del disco invece, che atmosfera racconta?

«“Domino” racconta una dimensione più urbana, che prosegue il solco tracciato da “Naif”, ma lavora su suoni riadattandoli a sonorità più oscure ed urbane. La domanda che ha fatto nascere questo mio lavoro è quella in cui mi interrogo su cosa succede all’interno delle metropoli e mi sono fatta ispirare da Berlino d’inverno. Mi incuriosiva provare ad immaginare quello che si nasconde dietro ogni porta chiusa e l’inverno ci porta a chiuderci in casa. Proprio per questo sguardo sul contemporaneo anche il disco si è “vestito” di suoni più elettrici, suoni che non ho mai sfruttato in profondità»

E cosa hai sbirciato dalle serrature?

«La vita delle persone quando non sono social, nel quotidiano. Mio padre mi diceva che dietro ogni finestra c’è una storia da raccontare e quindi ho raccontato i piccoli gesti, quelli che facciamo tutti quando siamo in casa, da soli, con noi stessi o con i nostri cari. Cose banali ma che hanno un grande peso comunque nella nostra vita perché sono rappresentativi della propria identità, della propria relazione. Quindi anche quel abbassare la guardia quando si arriva a casa la sera portandosi dietro lo “scazzo” di una giornata, o i silenzi sul divano o la tazza di caffè».

Per chi hai scritto “Domino”?

«Per chiunque ci inciampi volente o nolente. Mi piacerebbe che ci si ritrovasse e magari facesse da specchio, per dare importanza a quei momenti della vita in cui siamo veri, quelli che riempiono il quotidiano e che ci mettono in relazione con gli altri. Ammetto che a chiunque ho fatto sentire il disco mentre lo preparavo ha fatto questo effetto. Tutti ritrovavano una metafora della propria vita o di un proprio modo di essere, tutti insomma, dagli addetti ai lavori al fattorino o il tassista, ci si sono ritrovati. Insomma parlo dell’animo umano e dei piccoli gesti quotidiani che in fondo ci appartengono e ci rendono così simili e così unici».

In Trentino sei venuta diverse volte e in molte situazioni differenti. Qual è il tuo ricordo più bello?

«Non ho dubbi. I Suoni delle Dolomiti. È stato un concerto magico. Non succede da nessun’altra parte di trovarsi immersi nella natura in quel modo, di avere un rapporto così intimo e positivo con il pubblico. Lo ritengo un privilegio e un onore e sarei davvero felice se ci fosse un’occasione per replicare quest’esperienza così meravigliosa».

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