«Il maschilismo rende le donne oggetti»

Per la sociologa Saraceno troppi uomini vivono le loro compagne come proprietà private e non sopportano l’abbandono


di Luca Pianesi


TRENTO. «Bisogna cambiare il concetto d'identità maschile. Purtroppo, oggi, troppi uomini vivono le loro compagne come fossero delle proprietà private». Per la sociologa Chiara Saraceno dietro all'efferato delitto di Campiglio si celano le problematiche culturali di una società, la nostra, ancora fortemente maschilista. La donna, in questo contesto e per certi uomini, deve essere prima oggetto del desiderio e poi mamma e compagna fedele. Mai, dunque, una semplice persona, libera e capace di governare autonomamente le sue scelte. Honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino, Chiara Saraceno è una delle sociologhe internazionali più quotate e di maggior fama.

Professoressa, quello di Campiglio è l'ennesimo caso di femminicidio. Come può un uomo arrivare a compiere un gesto tanto feroce?

Quello di Vittorio Ciccolini è un caso tipico di uomo che non riesce ad accettare prima il rifiuto e poi l'abbandono di una donna. Questo perché c'è un problema di identità maschile che è ancora legata al concetto di proprietà della donna. Un uomo, troppo spesso, non accetta di essere abbandonato perché non concepisce la compagna come una persona libera di fare le sue scelte, ma la sente come un qualcosa di suo, di privato, che per questo non può e non deve perdere.

E infatti l'assassino ha lasciato due lettere indirizzate proprio a due uomini. Li sentiva più capaci di solidarizzare con lui, in quanto maschi?

Sicuramente. Le lettere dimostrano che per Ciccolini quella era una cosa tra uomini. Del suo gesto non avrebbe dovuto rispondere a nessuna donna. E' sempre una questione di onore tra maschi, in questi casi. E anche la frase contenuta in una delle missive, dimostra come lui si sentisse disonorato nella sua mascolinità. Gli uomini che ammazzano le loro compagne sono sempre dominati da questo sentimento, che può nascere da un tradimento, da una separazione o dal fatto che la donna si rifiuti di essere picchiata. In tutti questi casi si verifica, nel maschio, una sensazione d'incapacità di controllare la compagna.

Da dove si parte per invertire la rotta?

Bisogna cambiare i modelli di socializzazione maschile. Va affrontata con serietà la questione, a livello di comunità. La pubblicità, per esempio, mortifica il ruolo della donna identificandola sempre e solo in oggetti del desiderio. La televisione, poi, al sesso femminile riserva al massimo il ruolo di soubrette. La comunicazione è ad uso e consumo, quasi totalmente maschile. E anche le donne per colpirsi tra loro si abbassano ad utilizzare insulti di tipo maschilista. Si pensi a come la leghista Valandro aveva attaccato il ministro Kyenge evocando per lei, come punizione, lo stupro di gruppo.

E' un problema tipicamente italiano quindi?

Il femminicidio è un problema mondiale e infatti la convenzione che ne contrasta il fenomeno è un trattato internazionale firmato a Istambul. Però l'Italia è sicuramente uno dei paesi più problematici, da questo punto di vista. Basta pesare che a fronte di un numero di omicidi che negli ultimi dieci anni è andato sempre più riducendosi, abbiamo avuto un aumento dei femminicidi. Si può dire, quindi, che se la nostra società si è dimostrata più civile perché ricorre meno alle uccisioni, per quanto riguarda il suo rapportarsi con la donna sta addirittura regredendo. In Italia, poi, abbiamo un problema in più, che è la mamma, inteso come simbolo. Gli uomini, spesso, finiscono per cercare nelle compagne i comportamenti della loro mamma. Che è “loro” quindi, proprio per questo, non è libera di fare quello che vuole e deve rispettare un determinato modello di condotta.©RIPRODUZIONE RISERVATA













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