Il Mart cala il suo poker d'arte

I Nuovi Futuristi, la Donazione Bentivoglio, Valsecchi ed Hernandez


Elisabetta Rizzioli


ROVERETO. A Rovereto da domani al 26 febbraio, una nuova mostra del Mart a Casa Depero riflette - dopo che il Futurismo di Umberto Boccioni ha influenzato profondamente l'arte italiana e preparato la via all'Arte povera - intorno a quale sia invece l'eredità storica dell'altro Futurismo, quello di Balla e di Depero, con la sua sintesi originale di decorazione e funzionalismo.

Il Mart, che ha già prodotto, curata da Ester Coen, la mostra "Futurismo 100", inaugurando una nuova sede museale, la Casa d'Arte Fortunato Depero, e con un'articolata serie di pubblicazioni di approfondimento sui legami fra il movimento futurista e le avanguardie tedesche e russe degli anni Dieci e Venti del secolo XX, con la nuova rassegna "I Nuovi Futuristi". Rassegna a cura di Renato Barilli, rintraccia e documenta gli sviluppi del futurismo nella versione di Balla e Depero, comprendendo una trentina di opere di Gianantonio Abate, Clara Bonfiglio, Dario Brevi, Gianni Cella, Andrea Crosa, Innocente, Marco Lodola, Battista Luraschi, Luciano Palmieri, Plumcake e Umberto Postal, opere che si possono mettere a confronto con gli arazzi, le tele, gli oggetti e la grafica di Depero, in un allestimento che mette in luce la grande capacità di questi artisti di spaziare con assoluta libertà fra varie espressioni artistiche, utilizzando materiali prodotti dalle nuove tecnologie, come il plexiglass, il pvc, il neon.  "I Nuovi Futuristi" hanno infatti esplorato i territori al confine fra design e pubblicità, fra narrazione, fumetti e cartoni animati.

Nello stesso torno di tempo, da domani al 26 febbraio, la sede roveretana del Mart di Rovereto presenta in contemporanea tre diverse rassegne espositive. La prima, "La donazione Bentivoglio", a cura di Daniela Ferrari con la direzione scientifica Gabriella Belli, testimonia l'assoluta internazionalità delle ricerche verbovisuali (19 i paesi rappresentati). È dedicata alla figura poliedrica di Mirella Bentivoglio, protagonista internazionale dell'arte verbo-visuale al femminile, della quale il contesto ostensivo svela il talento collezionistico. Artista, poetessa e performer di calibro internazionale, Bentivoglio si occupa di poesia visiva a partire dagli anni Sessanta; come curatrice ha svolto un ruolo cruciale nell'emancipazione delle donne dai contesti da lei stessa definiti "mostre-ghetto", a partire dall'Esposizione Internazionale di Operatrici Visuali, affidatale da Ugo Carrega al Centro Tool di Milano nel 1972, e soprattutto in "Materializzazione del linguaggio", alla Biennale di Venezia del 1978.  Nel corso della sua multiforme attività è riuscita a raccogliere una collezione di grande forza e originalità che offre un panorama completo di tutta l'arte verbovisiva femminile dagli anni Sessanta ai giorni nostri; detta collezione, composta di circa 300 opere, è stata da lei donata al Mart. Fra opere di particolare interesse la mostra documenta estesamente il tema della fusione di corpo e linguaggio, argomento centrale per artiste quali Anita Cheng, Ketty la Rocca, Maria Lai o Aurelia Munoz; l'identificazione ad esempio di un corpo femminile con una lettera - Ketty la Rocca, "Il corpo e il linguaggio ("J"), 1969-1970 -, scrive Bentivoglio, è "quasi un rovesciamento di segno, vista la frequente presenza di nudità femminili nella consueta produzione figurativa maschile."

Altra rassegna, a cura di Gabriella Belli, "Carlo Valsecchi. San Luis", presenta negli scatti dell'artista-fotografo italiano, una ricognizione "al limite del visibile" degli spazi sconfinati delle pianure argentine, riflessione di grande attualità sul rapporto fra uomo e natura: 36 grandi opere fotografiche realizzate fra il 2007 e il 2008 in alcuni dei luoghi più sperduti dell'Argentina definiscono "una sorta di Land Art", ove gli scatti fotografici veri e propri costituiscono il punto di arrivo di un intenso lavoro di ricerca e analisi su segni, tracce, spostamenti minimi generati dal passaggio umano e animale in un territorio sconfinato. In San Luis si vedono campi arati o spazi aperti mai toccati da mano umana, rettilinei stradali, lunghissimi canali di irrigazione. In tutti questi casi Valsecchi mostra di voler indagare il rapporto fra spazio mentale e spazio fisico, mentre la relazione fra ciò che esiste e ciò che si conosce rispetto alla realtà diviene estremamente articolata. "La questione", sintetizza Walter Guadagnini nel testo in catalogo (Silvana), "è quanto vedere, e sino a che punto il vedere può essere spinto prima di trasformarsi nel contrario da sé, nella pura invisibilità".

La terza mostra, curata da Yilmaz Dziewior, "Diango Hernández. Living Rooms, a Survey" comprende 36 opere eseguite dal 1996 ad oggi - disegni, installazioni, dipinti, video e due lavori site specific ("Resistere" e "A house without objects") - e realizzate appositamente per il Mart, ovvero per questa prima retrospettiva mondiale dedicata al lavoro dell'artista cubano, nelle cui installazioni vive una fusione inedita di riflessioni socio-politiche e indagini interiori. Uno dei temi centrali della ricerca artistica di Hernández è la riflessione sulle traumatiche e spesso incomplete transizioni della società cubana: l'eredità dolorosa dello schiavismo, le contraddizioni della decolonizzazione e della rivoluzione castrista, la ricerca di un nuovo futuro possibile dopo il crollo dell'Unione Sovietica. Altro tema ricorrente in queste opere riguarda la sfera personale dell'artista, che lavora scavando nel proprio vissuto relazionale che intreccia e connette a riflessioni più ampie sul sociale e sulla politica.  Nel titolo scelto per la mostra, vivono i "soggiorni" a cui Hernández fa riferimento, teatro di frammenti della vita cosmopolita dell'artista e luoghi ove i cubani costruiscono la propria esistenza quotidiana (anche in senso letterale, riutilizzando pezzi di mobili, elettrodomestici e imballaggi) per "collezionare invenzioni realizzate da persone che cercavano di sopravvivere, combinando oggetti ritrovati, a volte inutili, per creare pratici strumenti di uso quotidiano". Nelle sue "magiche" installazioni, scatole di cartone diventano radio, altoparlanti scassati mutano in gabbie per uccelli, e gambe di tavoli si trasformano in fiori.  Questi oggetti, spiega Hernández, "non sono incompleti soltanto perché mancano alcune delle loro parti, ma anche perché il silenzio è divenuto la loro funzione permanente.













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