«A fianco del campione»

Giovanni Vettorazzo fa il padre della miss che amò Mitri


Carmine Ragozzino


TRENTO. I primi pugni e i primi amori. In televisione. Le vicende di una storia intensa - privata e inevitabilmente pubblica come altre storie di campioni: romanzo senza tuttavia esagerare gli avvenimenti dentro e sopratutto fuori dal ring. A cavallo tra gli anni '50 e '60. «Il campione e la miss», la tormentata e insieme avvincente parabola di Tiberio Mitri e di Fulvia Franco, è in onda su Rai Uno. Una fiction piuttosto attesa. «Lanciata» anche dall'indiretta pubblicità di una forzata sospensione, (si doveva vedere a marzo), causata da un lite con un parente della «Miss Italia del 1948».

Tiberio Mitri (Luca Argentero) e Fulvia Franco (Martina Stella), sono i protagonisti. Attorgiovani per la trasposizione davanti alla cinepresa di un'autobiografia, (quella del pugile) che si ferma nel momento in cui, (1954), Jack La Motta mise fine con terribili colpi al sogno mondiale del triestino. Ma lui, Mitri, nobilitò la boxe in un'epoca in cui i pugni e la bici erano nel cuore dell'Italia sportiva.

Ebbene, c'è un po' di Trentino nella fiction Rai. Il padre della miss che amoreggia e poi sposa Mitri alimentando il gossip e tutti gli intrighi d'epoca, è Giovanni Vettorazzo. Il roveretano Vettorazzo. Attore, il nostro, dal portfolio eccellente: abbondanza di parti al cinema, lungo elenco di sceneggiati Tv. Insomma, esperienza indiscutibile e gradimento conseguente - (non serve essere protagonisti per lasciare il segno sullo schermo). E dunque registi di primo livello: Verdone o Sorrentino, tanto per citare. Nel coacervo di sentimenti che dà corpo alla storia del campione e della miss, Vettorazzo è il padre della ragazza. Uomo buono, aperto, che difende la figlia nelle scelte difficili e sta dalle parte di Mitri quando sente l'odore della disgrazia. Parte importante, dunque.

Un bel lavoro?
«Sì, perché la storia non racconta solo di un uomo e di una donna. Sullo sfondo c'è l'Italia del primo boom economico, con tutte le sue contraddizioni. E il negativo di quel periodo, di quel costume, di quegli atteggiamenti, li stiamo pagando adesso.

Ma come? Non è solo un romanzone? Che c'azzeccano l'analisi sociale e la politica?
Beh, tutti credevano di poter fare tutto. Compravano, (le tv, le auto, le motorette o la lavatrice). Si indebitavano e facevano mutui. Ed è andata avanti così. Purtroppo. Fino ad oggi.

Ma non si diceva che il degrado odierno, nei valori ad esempio, è frutto dell'edonismo degli anni '80? Di quell'«Italia da bere» che si è bevuta e mangiata l'Italia?
Quella è un'altra, terribile, storia. Ma i passi più lunghi delle gambe abbiamo iniziato a farli, allegramente, negli anni del boom.

Ma Mitri, in quegli anni, era un campione. E i campioni di quegli anni, (Coppi, per dire) erano eroi in chiaroscuro: facevano parlare, schierare, una nazione. Mitri ha miss Italia. Coppi la dama bianca.
La fiction di Angelo Longoni scava dentro le personalità di que ragazzi, due giovani che vogliono viversi. E' l'aspetto più coinvolgente di questo lavoro. Piacerà, e non solo perchè ci sono ottimi, convincenti attori. Il contesto è interessante, c'è materia per riflettere oltre che per godere di un lavoro di qualità.

Qualità, appunto, non è che la Tv - pubblica e privata - ne offra poi tanta di questi tempi.
Diciamo pure le parole come vanno dette: schifo. Certo, una fiction come «Il campione e la miss» ti apre un po' il cuore. Ma la Rai non investe più nella fiction, il cinema agonizza. Si comprano terrificanti format dall'estero. Si rimbambisce il pubblico, quello che non si è ancora allontanato, con prodotti da secchio dell'immondizia. E d'altra parte non è che ci si possa meravigliare. Da noi i ministri dicono che "non si mangia con la cultura". E i tagli sono una conseguenza.

Nera, nerissima.
Di più. Ammazzano un paese e il suo sviluppo. Scientemente. E occhio: quel poco di fiction che ancora si vede è girata in Bulgaria o in Argentina. Cosicchè non lavorano le maestranze italiane che sono riconosciute ovunque come le più capaci. Ma vi pare possibile? Ma si può andare avanti così?

E un curriculum ricco come il suo diventa beffa.
Beh, le soddisfazioni restano. Lavorare ne «Il divo» con Sorrentino, in «Vincere» di Bellocchio o fare il notaio in «Compagni di scuola» di Verdone ti segna e ti gratifica. Ma se ti guardi intorno, tornando a Mitri, meneresti pugni a chi vuol mettere ko la nostra cultura.













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