l'allarme

«Trentini, attenti: la mafia è tra noi»

Marini, Morra e Pignedoli: «Dai roghi all’usura, dal caporalato al proliferare di supermercati: tutti i segnali che la politica ignora»


Luca Marsilli


TRENTO. C’è un problema mafia in Trentino? Indagini come quella sul porfido (ma non solo) e tutta una altra serie di indicatori portano a concludere per la risposta positiva. È quasi scontato che una terra ricca e perdipiù di confine attiri l’interesse della criminalità organizzata. Che agisce con modalità diverse rispetto a quelle della sua iconografia. Più colletti bianchi e “investitori” che infiltrano il sistema economico che “picciotti” con la lupara in mano. Ma questo non significa che la sua azione sia meno pervasiva o nefasta per il tessuto produttivo e sociale. E sicuramente non giustifica la percezione comune di vivere in un’isola felice, ma ancora meno giustifica il disinteresse quasi ostetanto della politica e amministrazione locale. Cieche mute e sorde più delle proverbiali tre scimmiette. Una situazione che già qualche anno fa fece dire all’allora presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, parlando proprio del Trentino, che c’erano due sole possibilità: o un deficit di intelligenza, o un deficit di volontà.

«Nella sua relazione finale - ricostruisce Alex Marini, che sull’infiltrazione delle mafie in Trentino e il silenzio della Provincia sta depositando raffiche di interrogazioni - l’Osservatorio sulla criminalità organizzata aveva posto una serie di gravi interrogativi e dato anche qualche suggerimento. Indicato quali segnali seguire, quali piste battere, per andare oltre le dichiarazioni di intenti e cercare veramente di fare luce su un fenomeno che è già palesemente in atto. Ma quella relazione è rimasta ben chiusa in un cassetto: non è stata presentata ai consiglieri provinciali nè, addirittura, consegnata alla Commissione antimafia. Su tutto si è steso un velo di silenzio. Probabilmente nel timore che riconoscere il problema criminalità organizzata possa scoraggiare gli investimenti in Trentino o danneggiare il turismo».

«Sono probabilmente le stesse ragioni - aggiunge Nicola Morra - per cui non è stato ancora possibile avere una Commissione di accesso per chiarire cosa sia successo a Lona Lases. Dove si accetta piuttosto il vulnus democratico di un comune che nemmeno in quattro tentativi riesce a darsi una amministrazione. Lì ha chiarito l’indagine della magistratura che l’infiltrazione c’è stata. E che si è giovata di connivenze, silenzi e complicità che sono il tessuto in cui prosperano le mafie nella loro versione più evoluta: quella che si insinua nell’economia e la piega ai suoi metodi. Fino all’ultimo di è negato che esistesse un fenomeno di criminalità organizzata legata al mondo del porfido; adesso si fa finta di credere che quello fosse l’unico settore aggredito dalle mafie».

«In Emilia Romagna abbiamo avuto - aggiunge l’europarlamentare Sabrina Pignedoli - gli stessi segnali che avete ora voi con una decina di anni di anticipo. L’indagine “Emilia”, partita quando ormai la sensibilità della popolazione lo imponeva - ha poi dimostrato quanto profonda e vasta fosse l’infiltrazione delle mafie nel nostro tessuto produttivo. Per questo è importante che la politica, a tutti i livelli, si occupi del problema: la magistratura, da sola, non basta. E in Trentino la politica su questo tema non sta facendo quando dovrebbe. Il pentito Luigi Bonaventura aveva anticipato di dieci anni quello che l’inchiesta Perfido ha fatto emergere sul settore porfido. Non perché fosse un veggente, ma perché sapeva. E lo stesso problema aveva denunciato per il settore turistico, particolarmente sul Garda. Del tutto inascoltato».

Eppure, dicono gli esponenti 5 Stelle, i segnali ci sono tutti. Dai roghi dolosi che si ripetono sempre più spesso e vengono archiviati come gesti di squilibrati ai casi di caporalato scoperti e denunciati, fino ai fallimenti in odore di usura e il proliferare insensato di supermercati: a Rovereto, per uscire dal vago, c’è la più altra incidenza pro capite di supermercati d’Italia. E quello della grande distribuzione è uno dei settori preferiti per il riciclaggio di denaro sporco. Tutte cose segnalate dal rapporto dell’Osservatorio e che meriterebbero la piena attenzione di tutto il Trentino. «E invece qua - conclude Alex Marini - si butta la polvere sotto il tappeto. E quando non ce ne sta più, si compra un altro tappeto».

Per inciso, nella relazione dell’Osservatorio ci sono anche i risultati di una indagine sul campo. Di tutti i sindaci sentiti, nessuno ha riferito di avere avuto sentore di problemi collegabili alla criminalità organizzata. Al contrario, su un campione di 952 imprenditori, 417 del settore ricettivo e 533 della ristorazione, definisce il problema “diffuso” il 2,3% e ben il 19,5% segnala fenomeni di estorsione; l’11,6% di usura. Trenta intervistati hanno poi dichiarato di essere a conoscenza di intimidazioni per la restituzione o la concessione di un prestito e altri 79 hanno avuto contezza diretta di episodi di danneggiamenti o intimidazioni.

 













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