oggi la presentazione del libro

Italian Cricket Club l’avamposto sportivo dello “ius soli”

TRENTO. Lo sport, in questo caso il cricket, come esperimento sociale d'integrazione e convivenza e come strumento per eliminare confini geografici e culturali. Il libro “Italian Cricket Club”,...


di Daniele Loss


TRENTO. Lo sport, in questo caso il cricket, come esperimento sociale d'integrazione e convivenza e come strumento per eliminare confini geografici e culturali. Il libro “Italian Cricket Club”, scritto a sei mani dai giornalisti Giacomo Fasola (Corriere della Sera), Ilario Lombardo (Secolo XIX) e Francesco Moscatelli (La Stampa) e pubblicato da Add Editore racconta proprio questo, ovvero lo sviluppo rapidissimo e recente di una disciplina sportiva che a livello agonistico s'incrocia (e a volte si scontra) con le questioni, attualissime in Italia, legate alla cittadinanza, allo “ius soli”, alla convivenza e all'integrazione.

Il libro, che verrà presentato domani alle 17.30 alla Libreria Campadelli in piazza Mostra a Trento dagli autori e dal presidente della Federazione Cricket Italiana Simone Gambino, ricostruisce le tappe di un fenomeno che in Italia è iniziato sui campetti polverosi di provincia (se non addirittura in spazi asfaltati o semplici piazzali in disuso) ed ha avuto le luci della ribalta (sino ad un certo punto) nel 2009, quando la Nazionale Under 15 vinse, a sorpresa, il campionato europeo. Quella formazione, è bene ricordarlo, era composta da Asghar Muhammad Waqas, Alamin Mia, James Fort, Swad Sahidul Islam, Faysal Mia, Adnan Mohammad, Atikur Rahaman, Charith Rajamanthri, Edoardo Scanu, Aamir Shaikh, Harpreet Singh, Harry Starost e Salman Zaman.

«Solo tre di quei giocatori – scrivono gli autori – all’epoca poco più che bambini, avevano il passaporto italiano. Tutti gli altri erano invece stranieri. Secondo la nostra legge, una delle più restrittive del Vecchio Continente, prima di poter richiedere la cittadinanza e indossare la maglia azzurra nel mondo del calcio, avrebbero dovuto aspettare i 18 anni. Proprio come Mario Balotelli, tanto per fare un esempio, quasi coetaneo di origini ghanesi di tutti quei ragazzini, che per mettere piede a Coverciano e scendere in campo con una rappresentativa italiana ha dovuto attendere la maggiore età».

Perché presentare il libro a Trento? Perché la nostra città, da sempre modello d'integrazione culturale, ha contribuito a scrivere pagine importanti del cricket italiano grazie soprattutto all'impegno di alcune persone che, anni or sono, decisero d'intraprendere un'avventura incredibile fondando una società all'ombra del Bondone. Il piccolo ovale delle Ghiaie, “rubato” per qualche domenica all'anno al baseball, non sarà infatti noto alle cronache quanto il celeberrimo PalaTrento, ma lì il Trentino Cricket Club ha conquistato due scudetti consecutivi (2011 e 2012) con una squadra composta interamente da italiani di prima o seconda generazione. Chi ha vinto quei due scudetti è figlio di un Trentino “nuovo”, nato in città assolate del Pakistan come Gujarat, Rawalpindi o Lahore, dove il cricket non è semplicemente una disciplina sportiva ma una vera e propria “religione”, ma oggi italiano a tutti gli effetti. Il racconto del loro riscatto in campo, delle loro vite spesso difficili, delle diverse possibilità di integrazione scorre da Trento sino a Brescia, da Genova a Milano, attraversando l’Emilia Romagna e il Lazio. “Italian Cricket Club” è tutto questo, il racconto d'incredibili avventure e di chi ce l'ha fatta. Con un paradosso di fondo, perché, quando si gioca a cricket "lo straniero" è l'italiano.

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