L’INTERVISTA »IL RAPPER TRENTINO DRIMER

TRENTO. Ha 23 anni, è laureato in Storia ed è uno dei maggiori esponenti della scena rap trentina, oltre che un emergente sempre più conosciuto nel panorama nazionale. Si chiama Francesco Marchetti,...


di Gabriel Marciano


TRENTO. Ha 23 anni, è laureato in Storia ed è uno dei maggiori esponenti della scena rap trentina, oltre che un emergente sempre più conosciuto nel panorama nazionale. Si chiama Francesco Marchetti, in arte Drimer, e quasi certamente nessuno lo criticherà mai per la povertà di contenuto dei suoi testi, giusto per restare sull'onda del dibattito di questi giorni. Anzi, forse è proprio il contrario. Nel marzo scorso, a poche giorni in vista delle elezioni nazionali, aveva pubblicato un brano dal titolo “Noi non vi vogliamo”. Un pezzo che puntava il dito contro la deriva xenofoba e razzista della destra di casa nostra. Il 4 dicembre ha pubblicato invece “Noi non vi vogliamo 2”, nato dalla produzione di Luca Perri, arrangiatore di Rovereto che lo aveva contattato per fare un remake acustico e più melodico del primo capitolo. Sentita la strumentale, però, Drimer ha scelto di abbandonare l’aggressività esplicita delle parole di “Noi non vi vogliamo”, per scriverne una prosecuzione, una sorta di atto secondo. Un pezzo stavolta più inclusivo, che anziché attaccare frontalmente chi si riconosce in quella destra, cerca piuttosto di spiegare il punto di vista del rapper rispetto a quegli stessi temi.

Drimer, che messaggio vuole trasmettere a chi ascolta “Noi non vi vogliamo 2”?

«Empatia. Soprattutto con la situazione dei migranti e in generale delle persone meno fortunate che, per mare o per terra, arrivano in Italia e sono oggetto di un insensato attacco della Lega, a scopi elettorali, da prima ancora che al governo ci arrivasse».

Ma pensa che chi è contrario all’immigrazione lo sia perché non riesce a immedesimarsi nel migrante oppure magari perché è egoista, o sovranista e vuole che il confine dello Stato marchi una barriera che è anche sociale e culturale oltreché economica?

«Io direi che i motivi principali per i più sono soprattutto due. Il primo è l’ incapacità di provare empatia, tema che affronto nella prima strofa. Il secondo, che affronto nella seconda strofa, è la scarsa e superficiale informazione. Questa è figlia della nostra epoca, da un punto di vista culturale e sociale, a prescindere dai partiti politici, perché segue i social con una ineliminabile superficialità di fondo. Detto questo, i partiti che promuovono un certo tipo di messaggio dalle tinte xenofobe e razziste, approfittano della scarsa informazione, la utilizzano e la alimentano per creare consenso. Chi vota spesso non sa nulla della Convenzione di Dublino, dei vari Trattati europei, della situazione odierna della Libia, della guerra in Siria. Per questo è facile cadere nella trappola della soluzione semplice, che è chiudere i confini, pensando che l’Italia sia l’unica ad accogliere i migranti, quando in realtà non è così».

Lei affronta spesso anche il discorso dell’informazione che passa attraverso il rap o la trap, generi molto ascoltati dai giovani. A parte la polemica spicciola di questi giorni sui contenuti veicolati dei testi di Sfera Ebbasta, lei canta “l’hip-hop non è militante, ma neanche limitante”. Che cosa intende dire?

«Innanzi tutto, tutti i brani hanno dei contenuti, anche se possono essere poveri. Sfera ha dei contenuti che sono, diciamo, estremamente ripetitivi e di basso livello culturale. Ma questo non vuol dire che la realtà che lui fotografa non sia interessante. La trap, se così vogliamo chiamarla, è un sintomo, non il problema. Se Sfera va tanto, oltre che per la bravura dell’ artista e perchè il momento musicale tira in quella direzione, è anche perché nel percorso personale di Sfera, che è quello di una persona che si interessa poco di ciò che ha intorno e che punta solo al successo personale, c’ è qualcosa in cui i ragazzini di oggi si ritrovano. Poi, più in generale, per quanto riguarda la critica alla scena rap per il fatto che quasi nessuno si espone e parla di politica, mi colpisce di più il fatto che il semplice “esporsi” venga visto come una cosa negativa in sé. Quando uno scrive un brano – e non dico un brano con due frecciatine a Salvini – ma uno sfacciatamente politico, viene visto quasi male, come una cosa non hip hop, noiosa, e tipicamente italiana. E non è vero. E poi perché, come dico anche nel mio pezzo, esporsi vuol dire comunque parlarne sui social in maniera intelligente, scrivere in maniera intelligente, fare delle canzoni che facciano riflettere anche se la pensi nel modo opposto… Fare un post su Instagram o scrivere due cazzate contro Salvini in un pezzo, ci fa capire da che parte stai tu, ma non fa in modo che le persone che stanno dall’altra parte possano cambiare idea. E questo è anche abbastanza grave: il fatto che molte volte sia visto come rap politico un rap che in realtà è solo provocatorio».

A proposito di questo, lei nel suo pezzo scrive “come in ogni storia vale l’eccezione: siamo la rivoluzione”. Potrebbe essere interpretato male, mentre lei intende una cosa ben specifica…

«La rivoluzione, ma dei contenuti. Quello è un verso della terza strofa in cui parlo specificamente del rap. Quindi una rivoluzione dell’arte e della musica italiana attuale. Se adesso va per la maggiore un determinato tipo di pochezza di contenuti e di pochezza della varietà di ciò che si dice e si offre, quella che voglio rappresentare, ovviamente non da solo, è una rivoluzione che porti al centro del discorso tematiche importanti e porti più ragazzini ad ascoltare non solo Sfera, ma a sapere che c’è anche dell’altro».

Si vedrebbe in politica in futuro?

«Non ho mai nascosto che la politica è una cosa che mi è sempre piaciuta. Mi hanno sempre affascinato le figure dei politici “con una visione”, come John Kennedy e attualmente ho seguito e sto seguendo molto figure come Bernie Sanders negli Stati Uniti. E cerco di impegnarmi alla stessa maniera e seguire allo stesso modo anche le vicende politiche in Italia».

Il 10 dicembre scorso sono stati celebrati i 70 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell' Uomo, che ha come principio cardine la pari dignità e i pari diritti di tutti gli esseri umani. Tanta strada da fare ancora....

«Cose come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell' Uomo segnano uno spartiacque che è soprattutto di tipo etico: indicano una rotta. Sono molto di più delle leggi di uno Stato. E chiedono di non restare lettera morta. In questo senso sono sempre attuali per definizione».













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