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Truffa milionaria in criptovaluta ai danni di mille investitori: a capo della banda un imprenditore di Aldeno

Sgominate dalla Finanza due bande di cybercriminali: 13 denunciati, sei arresti



TRENTO.  Mille investitori truffati, italiani e stranieri, svizzeri, tedeschi, austriaci. E’ una truffa in criptovaluta quella smascherata dalla Guardia di Finanza che ha portato all’arresto di 6 persone e alla denuncia di altre sette.

Le indagini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Trento, svolte in collaborazione con il Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata (Scico) di Roma, sono scaturite dall’analisi ed approfondimento di oltre cento segnalazioni di operazioni sospette e sono state sviluppate anche attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, ricorrendo ad un’ampia cooperazione internazionale di polizia per il tramite del II Reparto del Comando Generale del Corpo.


Ideatore dell’organizzazione dedita alla truffa piramidale in criptovaluta era un cinquantasettenne imprenditore di Aldeno, amministratore di diritto o di fatto (tramite teste di legno) di un consorzio mondiale di società operanti nel settore finanziario, con sedi in vari Paesi fra i quali l’Italia, la Slovacchia, il Lussemburgo, il Regno Unito e le Isole Vergini Britanniche. Cuore di tale rete societaria internazionale erano gli uffici operativi di Trento, vero e proprio centro decisionale al quale facevano riferimento altri sette indagati - un lodigiano, quattro aquilani, un pescarese ed un professionista milanese operativo a Bratislava - che rappresentavano l’entourage societario con filiali a Milano, Montefiascone (Viterbo) e Scurcola Marsicana (L’Aquila).

Nel corso delle indagini i finanzieri hanno rivolto la propria attenzione in particolare ad una S.R.L., con sede legale a Milano, ma operativa a Trento, che a partire dal 2016 ha raccolto da oltre 1.000 investitori residenti in tutta Italia ( 227 in Trentino Alto Adige, 76 nel Lazio, 58 in Lombardia, 57 in Toscana, 43 in Veneto, 38 in Piemonte, 35 in Emila Romagna, 31 in Abruzzo, 144 tra Friuli, Liguria, Marche, Umbria, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) ma anche che all’estero (380 tra Svizzera, Austria e Germania), oltre 2.200.000,00 euro, proponendo loro un finto progetto finanziario consistente nel “minare” una criptovaluta attraverso l’acquisto di server utili alla coniazione della criptomoneta (c.d. mining).

Agli ignari investitori veniva proposto l’acquisto di server in comproprietà, attraverso il pagamento di 200,00 euro più IVA (totale 244,00 euro) per ogni quota, con la promessa che tale “investimento”, avrebbe reso fino a dieci volte il suo valore iniziale, a seguito di quello che il network societario avrebbe incassato.

Come da schema ricorrente nelle più tradizionali truffe piramidali (c.d. “schema Ponzi”), i potenziali investitori venivano procacciati con il passaparola o con la partecipazione a serate informative, presso noti alberghi siti a Trento, Pescara, Milano e Roma. Per invogliare gli investitori ad entrare a far parte del progetto, venivano inoltre illustrate le ideali prospettive di guadagno del proprio investimento, connesse oltre che all’incremento di valore della criptovaluta sopra descritto, a “bonus” attribuiti per premiare l’ingresso di tutti quei nuovi clienti che ogni singolo investitore sarebbe riuscito ad associare al network.

Inoltre, alle vittime veniva (falsamente) prospettato che tutti i loro investimenti erano garantiti da bond emessi dal gruppo societario internazionale di riferimento. In realtà, tutte le risorse accumulate dagli investitori sono state sistematicamente distratte (prevalentemente attraverso false fatturazioni) a vantaggio degli indagati, tanto da determinare lo stato di insolvenza della citata S.R.L. e di una seconda società trentina appartenente al medesimo network, con il conseguente fallimento delle stesse.

Parallelamente alle indagini nei confronti dei presunti minatori di criptovaluta, i finanzieri hanno individuato un secondo sodalizio criminoso, operativo nel Lazio ed in contatto col gruppo trentino, che a sua volta attraverso la redazione di un falso contratto commerciale tra una S.R.L.S. di Cerveteri (RM) (nella veste di creditrice) ed una società tedesca (nella veste di debitrice), e grazie ad una intromissione operata da hacker stranieri nei circuiti telematici di pagamento (VISANET e SEPA DIRECT DEBIT B2B), inseriva nell’home banking del conto corrente societario della società ceretana un falso mandato di pagamento elettronico pari a 1.250.000,00 euro.

Gli hacker, infatti, inserendosi nelle comunicazioni informatiche tra i server delle banche del creditore e del debitore, davano conferma positiva all’istituto di credito ceretano del deposito del contratto commerciale e dell’esistenza del relativo mandato di pagamento a favore della società italiana. Ciò traeva in inganno i dipendenti della filiale di Cerveteri dell’istituto di credito presso il quale era aperto il rapporto di conto della S.R.L.S., i quali, credendo che a breve sarebbe arrivata la provvista dal cliente tedesco, concedevano un anticipo di pari importo alla società italiana.

Successivamente i cinque indagati - due romani, un veneziano, un cosentino e un aquilano - autoriciclavano il denaro sottratto alla banca reimpiegandolo in altre attività economiche, finanziarie ed imprenditoriali attraverso una società croata controllata dal sodalizio.

A conclusione delle indagini, i finanzieri del Nucleo P.E.F. di Trento e dello S.C.I.C.O. di Roma hanno denunciato  alla Procura Distrettuale di Trento, gli otto componenti del sodalizio criminoso operativo in Trentino Alto Adige che hanno realizzato la truffa piramidale in criptovaluta, per i reati di associazione per delinquere, truffa aggravata, abusivismo finanziario, illecita raccolta del risparmio, falso in bilancio e bancarotta fraudolenta; il soggetto trentino a “capo” dell’organizzazione è stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere.













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