Tubercolosi, in Trentino trend in crescita

Torna d’attualità la malattia dopo l’episodio di Roma. Su 100mila abitanti il tasso in 3 anni passato da 8 a 11


Sandra Mattei


TRENTO. La tubercolosi torna d'attualità con il caso dell'infermiera ammalata del Gemelli di Roma, dove sono risultati positivi tre bambini tra quelli nati in quell'ospedale. Una malattia che richiama il passato, quando povertà e scarsa assistenza sanitaria erano le cause della diffusione. In Trentino la presenza di Tbc è limitata, anche se l'ultimo rapporto epidemiologico registra un trend in crescita. Pubblicato in questi giorni dall'Azienda sanitaria, il rapporto epidemiologico ha dati aggiornati sulla diffusione della Tbc in Trentino, che si conferma un'area a bassa endemia, in linea con le altre regioni del Nord Italia.

Il tasso su 100 mila abitanti è passato però negli ultimi 3 anni da 4,4 del 2007, a 11 del 2009 (tubercolosi polmonare e extrapolmonare). Così l'andamento: 8,7 (2005), 4,4 (2006), 8 (2007), 9,8 (2008), 11 (2009). Un andamento ciclico e se un aumento c'è, è dovuto all'aumento degli immigrati che provengono da Paesi dove la tbc è tuttora diffusa. «Rispetto ai 62 casi di tubercolosi segnalati nel 2009 - afferma il dottor Valter Carraro, responsabile del servizio igiene pubblica - nel 2010 sono stati 44. Quindi, il trend è stabile, con oscillazioni inevitabili». A lui chiediamo quali sono i rischi di contrarre la tbc al giorno d'oggi.

«Sono le grandi aree urbane - risponde Carraro - ad essere interessate e sono più a rischio quegli immigrati che arrivano dall'Asia e dall'Africa, che hanno pochi contatti con il servizio sanitario. Ma l'incubazione può essere molto lunga, perché i sintomi della tbc non sono così evidenti. Si manifesta con febbre, tosse, ma non necessariamente gravi. Per cui se un soggetto si sottopone a visita medica con una certa frequenza, non rischia, perché l'importante è che ad una diagnosi precoce corrisponda una cura precoce. Va detto inoltre che si può risultare positivi alla turbercolina, ma non necessariamente ci si ammala di tubercolosi. Perciò anche se entriamo in contatto con un ammalato, non è detto che si contragga la malattia così facilmente».

Per quanto riguarda le cure, il dottor Carraro spiega che quest'ultime sono molto lunghe: «Si tratta di un trattamento antibiotico, con farmaci il cui capostipite è la streptomicina. Un tempo la tbc rischiava di diventare cronica e non a caso i malati erano più di frequente anziani, ai quali la tbc si riacutizzava. Ora assistiamo invece a una percentuale di casi più di giovani, per lo più immigrati. L'importante è che, una volta individuato il batterio, si faccia un controllo a tutte le persone che hanno avuto contatti con l'ammalato, come da protocolli internazionali. E come sta succedendo a Roma, alle famiglie dei neonati che potrebbero essere entrate in contatto con l'infermiera ammalata».













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