UNIVERSITA'

Trento, addio al professor Enzo Rutigliano, protagonista della storia di Sociologia

Tristezza in Ateneo per la scomparsa del sociologo, amato da generazioni di studenti. Testimone attivo dei primi anni della Facoltà e del movimento studentesco, come studente e poi docente partecipò con passione e competenza allo sviluppo dell’Ateneo. Sabato alle 11 il Dipartimento e l’Ateneo lo ricorderanno in un momento di raccoglimento nella corte interna di Sociologia



TRENTO. La notizia della scomparsa del professor Enzo Rutigliano è stata accolta oggi con grande tristezza all’Università di Trento e soprattutto a Sociologia, dove il professore era molto stimato. Dal 1976, anno in cui ha iniziato la sua carriera accademica fino al 2014 quando si è ufficialmente ritirato dall’insegnamento, il professor Rutigliano ha preparato con passione generazioni di studenti e studentesse, insegnando Storia del pensiero sociologico, uno dei corsi fondamentali che introducevano il percorso di studi. Tutti lo ricordano come docente attento, preparato, preciso, dotato di ampia cultura, spirito critico e profonda capacità di analisi. Fin dal suo arrivo a Trento nel 1968 come studente, è stato protagonista della nascita e dell’evoluzione della Facoltà dalle origini dell’Istituto di scienze sociali fino alla Sociologia di oggi. Rutigliano ha dato il suo contributo a scrivere la storia dell’Ateneo trentino, partecipando attivamente anche al movimento studentesco della fine degli anni Sessanta.

Rutigliano aveva iniziato a collaborare in particolare con Franco Fornari e soprattutto con Gian Enrico Rusconi che era stato suo relatore per la tesi di laurea (su “Hegel: totalità e separazione”), ed era stato parte del gruppo di studio con Francesco Alberoni a cui era molto legato. «Dal punto di vista accademico – sottolinea il direttore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, Mario Diani – Enzo Rutigliano è stato fra i maggiori a contribuire alla diffusione della storia del pensiero sociologico in Italia. Il suo volume “Teorie sociologiche classiche”, edito nel 2001 da Bollati Boringhieri, è stato un punto di riferimento importante per generazioni di studenti e dottorandi, non soltanto a Trento». Era noto a livello nazionale per i suoi studi su Water Benjamin, Vilfredo Pareto, la Scuola di Francoforte e in particolare Theodor Adorno. È stato uno tra i primi studiosi in Italia ad approfondire la figura e la rilevanza sociologica dell’opera del premio Nobel Elias Canetti, con cui tenne una fitta corrispondenza sul volume “Massa e potere”. Lavoro che poi è confluito nel volume di Rutigliano “Il linguaggio delle masse. Sulla sociologia e Elias Canetti” (Edizioni Dedalo, 2007) con un’appendice di lettere inedite. Più di recente si era dedicato a studi sulla Sociologia della guerra. 

Grande il suo attaccamento agli studi e alla facoltà, come spiegò in un’intervista del 2001, in occasione del decimo anniversario della morte di Bruno Kessler, al periodico di Ateneo “UniTn” di cui fu fondatore (con Renato Porro e Antonio Scaglia) nel 1998 e direttore: «Sociologia per la città di Trento è stata decisiva, non soltanto perché il movimento studentesco direttamente coinvolse il mondo del lavoro, ma anche perché i numerosi studenti provenienti da altre città italiane portavano a Trento la loro cultura diversa, l'estrazione diversa, e questo fu un "lievito" per la città. Mise in moto dei meccanismi che poi andarono avanti per conto proprio e che certamente contribuirono alla modernizzazione della città. (…) L'università a quell'epoca era la Facoltà di Sociologia, non c'era altro. Era una sorta di comunità di studio dove le aule universitarie, la mensa, i bar attorno, gli appartamenti la sera, il collegio universitario erano un'unica cosa. Era tutto un fervore di idee, di discussioni, di dibattiti; non c'era differenza tra il privato, il pubblico, tra la politica, lo studio. Io ho sempre creduto che le università medievali dovessero essere simili a quello che stava accadendo da noi in quel momento. Corpo docente e studenti si sentivano molto più vicini tra loro che non al resto della città, la quale, in un primo momento, rifiutò come un corpo estraneo la Facoltà di Sociologia. (…) La comunità di studio di allora è a mio avviso irripetibile, e questo non soltanto per merito delle persone che c'erano o per la loro volontà, ma perché allora in tutto il mondo era un po' così: alla fine degli anni '60 i movimenti collettivi muovono il mondo, conferiscono alle vecchie istituzioni nuovo vigore, nuova linfa; creano, per loro natura, centralità. E Trento, come università e come città, pur essendo alla periferia estrema dell'Italia, diventò quindi centrale. I giornalisti del Corriere della Sera, della Stampa venivano da noi per capire come stavano le cose».













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