Quorum zero: vogliono fermarci

Martedì approda a Palazzo Thun la prima delibera proposta dai cittadini. La protesta dei promotori


di Luca Marognoli


TRENTO. Si sono incontrati on-line nei giorni immediatamente successivi i referendum del 2011, sull'onda dell'entusiasmo che il movimento dei comitati popolari per la democrazia diretta aveva suscitato in tutta Italia. Da allora Matteo Rigotti, giovane enologo, e Gianni Ceri, titolare di un avviato studio fotografico, hanno raccolto oltre 1.900 firme per l'abolizione del quorum nei referendum comunali, 4.000 in quelli provinciali e 5.000 nelle consultazioni popolari nazionali. Una lunga strada scandita da 60 “banchetti” organizzati solo a Trento che vivrà una tappa fondamentale martedì prossimo quando «per la prima volta in Italia – dicono – una delibera proposta dei cittadini verrà discussa in un'aula comunale». Una proposta però – mettono le mani avanti – che è destinata ad essere respinta: «Per questo - affermano – invitiamo i cittadini ad una presenza massiccia al momento della discussione a palazzo Thun».

Cosa vi spinge a credere che la deliberà non passerà?

Abbiamo pochi sostenitori in consiglio: Aliberti si è già espresso in maniera chiara a sostegno della proposta, mentre nei due passaggi nelle commissioni Statuto e Trasparenza si sono detti a favore anche Giugni e Maffioletti. Probabilmente con loro ci sarà anche Porta. Ma dalle informazioni a nostra disposizione la maggioranza dirà di no, sostenendo che è necessario aumentare contemporaneamente il numero di firme necessarie per promuovere il referendum da 2 mila a 5 mila. Noi però ricordiamo che la quota attuale rappresenta già il 2,2% degli aventi diritto, più del doppio di quanto richiesto a livello nazionale, che è l'1%, cioè 500 mila firme.

Ma nel merito perché il consiglio rifiuterebbe l'abolizione del quorum?

C'è chi teme che senza di esso si potrà abrogare qualunque norma comunale, cosa non vera perché lo Statuto determina esplicitamente le materie non referendabili: lo Statuto stesso, i regolamenti degli organi elettivi, bilanci, fisco, operazioni di mutuo e prestiti comunali. Da parte di qualcuno c'è anche il timore che si finisca con il fare un referendum ogni fine settimana, ma anche i questo caso ci sentiamo di tranquillizzarli: dal 2000 ad oggi a Trento sono stati effettuati due soli referendum, con un singolo quesito ciascuno, e lo Statuto prevede che “non è consentito lo svolgimento di più di una tornata referendaria in un anno e su non più di sei quesiti”.

I vostri detrattori hanno parlato anche del rischio di far lievitare i costi.

In Svizzera il 90% dei partecipanti ai referendum usa la posta e anche qui si potrebbero introdurre strumenti nuovi, come le firme elettroniche, già previste a livello europeo. Nel Paese elvetico va a votare una percentuale dal 30 al 50% di aventi diritto. Tutto è organizzato molto bene: si vota tre volte l’anno e i quesiti vengono decisi un anno prima e pubblicizzati tramite un opuscolo informativo spedito a tutte le famiglie dove sono contenuti anche i consigli del governo federale. Tornando all’Italia, la vera questione è che si deve cambiare mentalità...

In che senso?

Se venisse accettata questa proposta, sarebbe la prima volta in cui i cittadini diventerebbero protagonisti, come dovrebbe essere in base all'articolo 1 della Costituzione. Lungi da noi l'idea di esautorare gli eletti, anzi. Il referendum è un'integrazione importante della democrazia rappresentativa del popolo, che però non deve esserlo di se stessa. Abbiamo scelto il quorum zero, ma avremmo potuto fare anche un'altra iniziativa: l'importante era ridare la parola ai cittadini. Visto lo sfascio istituzionale, ce n'è un grande bisogno.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano