Picchia la figlia con il mestolo

La donna aveva più volte «punito» la bambina: è stata condannata in tribunale



TRENTO. La bambina era ormai terrorizzata quando vedeva avvicinarsi la mamma. I suoi occhi si dilatavano per la paura, il suo corpo tremava come una foglia. Si rifugiava tra le braccia del padre, ma lui non aveva la forza di difenderla da quella furia. La piccola sapeva che bastava un nonnulla per far arrabbiare la madre. E quando era arrabbiata, la mamma si trasformava. Colpiva la piccola con mestolate alla testa e in altre parti del corpo, la prendeva a sberle, pugni e calci, una volta è arrivata anche a picchiarla con un ramo d’albero e un’altra volta, all’asilo, le ha strizzato i capezzoli fino a farla piangere.

E’ questo il trattamento che una bambina, figlia di un trentino e di una donna straniera, ha dovuto subire da quando aveva due anni fino a quando non ne ha compiuti 5. C’è voluta la denuncia del papà ai carabinieri per far finire questo incubo. Ieri la donna è stata condannata a due mesi di reclusione per abuso dei mezzi di correzione dal giudice Francesco Forlenza. Il pubblico ministero Maria Colpani aveva chiesto la condanna a 8 mesi e 10 giorni per i reati di maltrattamenti in famiglia e minacce.

La storia era iniziata nel 2009, quando la piccola aveva appena due anni. Il padre, italiano, e la mamma, straniera, vivono in un piccolo comune del Trentino. La donna aveva iniziato a picchiare la bambina con il mestolo e con la cinta. Anche per sciocchezze. Bastava una banale disobbedienza ed erano botte. Secondo quanto riferito dai testimoni ai carabinieri che hanno svolto le indagini, una volta in piscina la bambina non voleva uscire dall’acqua. La mamma di fronte a tutti l’ha picchiata in tutte le parti del corpo fino a farla urlare dal dolore. All’asilo, la bambina si era tolta la canottiera per il caldo e la madre per punizione le ha stretto i capezzoli. Il mestolo era il mezzo preferito dalla madre per picchiare la figlia. Non solo. La donna aggiungeva minacce esplicite e brutali. Diceva alla figlia che se non le avesse obbedito l’avrebbe portata nel suo paese di origine per fare la prostituta. La bambina, che nel corso dell’inchiesta è stata sentita da uno psichiatra, ha raccontato che in questi momenti, per sfuggire alla furia della madre, si rifugiava in garage dove la famiglia aveva due cani. Per lei erano continue umiliazioni. Fino a quando il padre, anche lui terrorizzato dall’atteggiamento della donna, non ha presentato denuncia. Lo ha fatto perché era stato minacciato con un coltello. La moglie pretendeva, infatti, che l’uomo comprasse una casa al suo paese di origine per i suoi parenti. L’uomo, quando ha visto il coltello è andato dai carabinieri e ha anche raccontato dei maltrattamenti subiti dalla figlia. Ha detto che la bambina si rifugiava da lui per sentirsi protetta, ma che lui era succube della moglie e non era stato in grado di difendere la piccola. Dopo la denuncia sono partite le indagini. Molti testimoni hanno confermato i maltrattamenti. Il padre e la madre si sono separati. La bambina in un primo tempo è stata affidata al padre. Poi i genitori hanno trovato un accordo di separazione. La bambina è tornata dalla madre anche perché ha sempre detto che era molto attaccata alla donna. Però l’accordo prevede un controllo continuo dei Servizi sociali che dovranno monitorare le condizioni della piccola.













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