Non è più ignoto l’alpino dell’Adamello 

I resti ritrovati sul ghiacciaio l’8 agosto scorso ora hanno un nome: Rodolfo Beretta, nato a Besana il 13 maggio del 1886



TRENTO. Ha un nome e un cognome il soldato italiano i cui resti sono stati rinvenuti lo scorso 8 agosto sull'Adamello, a circa 3.000 metri di altitudine: è un alpino, Rodolfo Beretta, nato a Besana in Brianza (MI) il 13 maggio 1886 (coincidenza davvero unica: stesso giorno della grande sfilata all’adunata di Trento, ndr), distretto militare di Monza, in forza al 5° reggimento alpini, morto il giorno 8 novembre 1916 per la caduta di una valanga. Ne dà notizia l'Ufficio beni archeologici della Provincia della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento.

Non è facile, anzi, è spesso difficilissimo ricostruire la storia dei soldati i cui corpi, anche per effetto del cambiamento climatico, vengono rinvenuti ancora oggi, a cento anni di distanza, sulle Alpi, alle alte quote. Di particolare interesse, in questo caso, sono risultati i residui di documenti cartacei contenuti in un probabile astuccio in tela sicuramente conservato all’interno dell’abbigliamento. Si tratta di cartoline in franchigia per la posta da campo, assieme anche ad altri documenti personali. L’elemento meglio conservato è risultata essere una ricevuta di spedizione ferroviaria datata 19 novembre 1915, intestata appunto al soldato Beretta Rodolfo. Altri documenti riportano lo stesso nome ma la scrittura è meno chiaramente leggibile.

I discendenti dell'alpino sono stati contattati attraverso Onor Caduti e l'amministrazione comunale brianzola. "Restituire un'identità a questo caduto - sottolinea il presidente Rossi - a pochi giorni dalla grande Adunata degli Alpini ci fa sentire quegli eventi e quegli uomini ancora più vicini. E rafforza la nostra convinzione che la pace non debba essere mai data per scontata, ma al contrario vada costruita giorno dopo giorno, con le nuove generazioni, a partire dalla memoria".

L’analisi antropologica dei resti del soldato - come sottolineato dal direttore dell'Ufficio beni archeologici Franco Nicolis - ha evidenziato che essi non presentavano evidenti tracce di lesioni o ferite attribuibili ad attività bellicche (colpi di arma da fuoco, granata ecc.). Questo fatto, unitamente alla presenza di un pezzo di filo telefonico legato attorno al corpo e probabilmente utilizzato come corda di sicurezza per rimanere collegato ad altri commilitoni, ha fatto fin da subito ritenere che la causa più probabile di morte potesse essere proprio una caduta di valanga.















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