«Effetto guerre» sulle mele. Peggior stagione in 40 anni

Dopo l’embargo russo, il mercato è ostaggio di Nord Africa e Paesi arabi. Benamati del Cio: «Prezzi a picco e ora pagamenti bloccati dall’Egitto»


di Luca Marognoli


TRENTO. Prima l’embargo russo, poi le guerre in Nord Africa (dove si è orientato il 70% dell’export provinciale) e infine, come se non bastasse, il tempo mite in Polonia, che ha invaso il mercato con la sua abbondantissima produzione. Le insidie del mercato globale possono essere molto più dannose della grandine. Un mix di circostanze avverse, sia geopolitiche che economiche, stanno trasformando il 2015 in un annus horribilis per i produttori di mele trentini, soprattutto per quelli di pianura visto che Melinda da sola copre la quasi totalità del mercato nazionale.

Franco Benamati, direttore del Consorzio interregionale ortofrutticolo Cio di Sarche, che raggruppa 460 produttori (in parte anche altoatesini ed emiliani), non usa giri di parole: «Ho 64 anni, sono nel settore dall'83 e questa è forse l'annata più difficile che ho incontrato».

Per il Cio il Nord Africa è diventato il mercato di riferimento. «E dopo l'esperienza negativa in estate, che ci ha portato a fare dei ritiri dal mercato per le susine, non vorremmo che a causa dei problemi nei Paesi arabi adesso ci fosse un blocco anche per le mele, perché sarebbe un vero disastro. Questa è la nostra grossa preoccupazione».

Quest'anno - racconta Benamati - «abbiamo avuto il blocco dell'importazione in Russia. Questo ha danneggiato parecchio anche tutta la frutta estiva: lo sappiamo bene perché nel nostro gruppo c'è la coop Fruchtmarkt Clementi di Laives, che ha susine, pesche e kiwi. Ne fanno parte produttori anche di Veneto, Lombardia ed Emilia, dove sono maturate varietà che praticamente non hanno conservazione e deperiscono subito, il cui sbocco principale era la Russia. Alla fine sono stati 4 o 5 gli autotreni che abbiamo destinato alla distribuzione gratuita».

I primi segnali negativi dai Paesi arabi stanno arrivando già: «Da più di un mese, abbiamo difficoltà nel ricevere i pagamenti dalle banche dell'Egitto. Normalmente la transazione in 15-20 giorni andava a buon fine, ora da 1 mese e mezzo non arrivano i soldi».

Il quadro globale è complesso: «Per le mele il mercato nazionale è quasi esclusivamente in mano di Melinda, che grazie al suo marchio forte raggiunge una quota del 90%. A noi rimane il 10% nazionale, un po' di grande distribuzione tedesca o inglese, mentre la gran parte del prodotto va in Libia, Algeria, Marocco, Turchia e Paesi del Mediterraneo. Il mercato è cambiato 4-5 anni fa: prima raggiungevamo Slovenia, Repubblica Ceca e anche Ungheria, quando la Polonia finiva le sue mele. Quest'anno, alle difficoltà economiche generali va aggiunto che non ci sono state gelate in Polonia, la quale ha prodotto 38 milioni di quintali di mele di buona qualità. Mele che solitamente andavano per metà all'industria hanno invaso il mercato europeo, che da settembre a gennaio coprivamo anche noi».

La conseguenza è stata il crollo dei prezzi, nonostante una produzione aumentata del 10% rispetto alla stagione precedente. «Nei Paesi arabi, come l’Algeria, si vende a 45 centesimi il chilo compresa la cassa. Questo vale per Melinda mentre noi del Cio, che ci posizioniamo sotto, dobbiamo abbassare il prezzo almeno di 5 centesimi».

In media - conclude Benamati - il calo è stato di 15-20 centesimi. «È facile capire la differenza. L'anno scorso facevamo 60-65 centesimi con gli stessi costi. Questo è il grosso problema e a soffrirne sono più di tutti i produttori di pianura».













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