Contributi “trentini”, ma la sede è a Como 

Processo alla Corte dei Conti. Un’azienda aveva chiesto il finanziamento per occuparsi di un progetto per pagamenti elettronici nel turismo accedendo ai fondi europei regionali, ma i termini prevedevano che la società rimanesse per almeno tre anni in provincia di Trento: condannati



Trento. I termini erano chiari: si poteva accedere ai finanziamenti comunitari del Fondo europeo di sviluppo regionale se un’unità operativa dell’azienda aveva una sede in provincia e se l’attività principale si fosse svolta per un minimo di tre anni in Trentino. Due “qualità” che l’impresa di Como che aveva ottenuto dalla Provincia oltre 130 mila euro sembrava avere sulla carta. Ma così non era. Almeno in base al controllo di verifica che era stato fatto dalla guardia di Finanza e che porta ora la procura della Corte dei Conti a chiedere a quella impresa di restituire alla Provincia 123 mila euro e qualche spicciolo. Il processo inizierà a settembre davanti al collegio dei giudici contabili.

I fondi sono quelli europei finalizzati dare sostegno all’economia e alla nuova imprenditorialità locale. Già nel fine c’è il senso degli aiuti che sono erogati a livello regionale. E quindi le aziende che richiedono il contributo, devono stare nella zona interessata. Questo il quadro generale nel quale si insinua la richiesta dell’azienda comasca. Che all’inizio del 2012 chiedeva di poter accedere al contributo avendo tutti i requisiti necessari. E impegnandosi a costituire una società entro quattro mesi. Un’iniziativa imprenditoriale, questa, che si proponeva di sviluppare un progetto per pagamenti elettronici da utilizzare per prenotazione di hotel, acquisto di skipass e le attività connesse quindi al comparto del turismo.

A metà del 2013 l’idea presentata da comaschi viene accettata e le viene accordato un finanziamento da 131 mila euro. La società prede formalmente sede in Trentino ma, da alcuni scambi di mail, sorgono dei dubbi. Perché c’è sì la sede trentina ma pare che l’attività sia in riva al lago di Como. Dubbi che fanno scattare un controllo che riguarda la sede provinciale dell’impresa. E qui si inizia a capire che c’è qualcosa che non torna. Nella struttura non ci sono insegne, e gli arredi erano ridotti al minimo, ad una scrivania e ad un pc. I loghi dell’Unione europea e della Provincia (che erano in qualche modo partner della società visto che ci avevano investito) non comparivano neppure sul sito e in quello spazio fisico non c’era nulla che potesse far pensare al prodotto finale.

Il risultato del sopralluogo è stata la revoca da parte del Servizio Europa della Provincia del finanziamento che era stato concesso, revoca accompagnata dalla richiesta di restituzione di poco meno di 125 mila euro. Una richiesta alla quale la ditta si è opposta e ne è quindi nata una causa civile che si è conclusa con la “vittoria” della Provincia che ha visto la presidente dell’azienda condannata a pagare 123 mila euro circa all’ente pubblico.

In questo quadro, arriva anche la procura della Corte dei Conti che ha ravvisato, in questa vicenda anche un danno erariale da imputare tanto alla presidente quanto alla società. Secondo l’accusa, il comportamento di gestione che viene addebitato è lesivo dell’interesse pubblico. Un comportamento che viene descritto come intenzionalmente finalizzato ad indurre in errore la Provincia per ingiusto profitto. In questo modo si sarebbe provocato un evidente danno patrimoniale alla Provincia che avrebbe quindi erogato dei contributi pubblici che non erano dovuti. E la procura contabile ha anche quantificato il danno in 123.262 euro che corrisponde agli importi che sono stati illegittimamente erogati a titolo di contributi.

Ora la questione, in nemmeno un mese, finirà in udienza davanti al collegio dei giudici contabili che dovranno quindi valutare la situazione e decidere se c’è stato un danno erariale patito dalla Provincia. E se sì, a quanto ammonta.













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