Il racconto

«Io, infermiere trentino immigrato in Gran Bretagna. Qui sto meglio»

Mariano Stefani, 34 anni, da Tezze Valsugana all'ospedale di Preston: uno stipendio migliore e qualità della vita. "Non penso di rientrare"


Andrea Tomasi


TRENTO. Gli infermieri sono spesso descritti come angeli. E come gli angeli possono prendere il volo: volare all'estero, dove gli stipendi sono migliori. Sono un centinaio gli infermieri che, formati in Trentino, oggi lavorano all'estero. Le cifre fornite dal sindacato Nursing Up di Trento la dicono lunga sui salari medi: 1410 euro/mese in Italia, 2580 in Germania, 2180 in Francia, 1930 in Svezia.

Ma non è solo una questione di soldi a fine mese. Ad incidere sono i benefit e le prospettive di miglioramento nella carriera. Abbiamo parlato con Mariano Stefani, 34 anni, nato e cresciuto a Tezze Valsugana. Terzo di 4 figli - genitori pensionati, la mamma ha un passato da bidella della scuola elementare locale e il papà è stato un lavoratore nel settore edile - da sei anni e mezzo lavora in Gran Bretagna.

Dove lavora attualmente?
«Oggi vivo e lavoro a Preston, una cittadina a circa 50 km a nord di Manchester. Dallo scorso settembre opero con una compagnia privata come disability assessor, in sostanza lavoriamo come azienda intermediaria e indipendente fra il dipartimento del lavoro e giustizia e le persone che richiedono il contributo chiamato PIP (Personal Independence Payment), un contributo rivolto a chi ha una disabilità di tipo fisico o psicologico».

Prima di trasferirsi a Preston che esperienze ha fatto? 
«Mi sono trasferito nel 2016 dopo aver lavorato per 5 anni come infermiere in Italia, per quattro anni presso l'Apss a Trento per poi fare un'esperienza di sei mesi con Emergency in Sierra Leone nel 2015, cui sono seguiti ulteriori sei mesi presso l'ospedale di Feltre. Mi sono trasferito in Gran Bretagna perché ritenevo stimolante provare a lavorare in un contesto diverso da quello italiano, che offriva pochissime opportunità e stimoli per crescere all'interno della professione».

Quale è attualmente il suo compenso? 
«A fine mese, ragionando in euro, prendo circa 2500 euro. Qui, durante l'attività lavorativa, ci sono sempre occasioni per investire sulla propria formazione, il tutto finanziato dall'ospedale: sono offerti corsi per specializzarsi in diversi ruoli e aree. Queste specializzazioni permettono generalmente di accedere ad ulteriori fasce. Si può passare dal band 5 (equivalente dell'infermiere italiano classico di reparto) al band 6: parliamo di salari annuali che partono dai 38.461 euro lordi per salire in qualche anno a quota 46.620».

Cesare Hoffer, del sindacato Nursing Up di Trento, fa notare che a pesare è anche la considerazione sociale del mestiere di infermiere. «La considerazione sociale è forse la parte migliore in assoluto. Nei media si sentono con cadenza quasi quotidiana apprezzamenti e interventi a supporto e riconoscimento del prezioso lavoro fatto dal Servizio sanitario nazionale britannico (Nhs) e dagli infermieri in particolare».

Quando ha deciso di lasciare l'Italia aveva idea di cosa avrebbe trovato?
«No, ma sapevo che quello che avevo in Italia non mi soddisfaceva, al punto da mollare un posto a tempo indeterminato per un'avventura nuova. Preston fu l'offerta migliore in quanto in quel periodo, negli anni fra il 2015-2016-2017, lo staff dell'ospedale conduceva colloqui e assumeva infermieri direttamente in Italia per poi organizzare tutto l'occorrente per il trasferimento in Gran Bretagna. A fare da intermediaria c'era la sezione degli iscritti all'albo professionale infermieri di Mestre che forniva la sede per i colloqui allo staff di Preston per venire a reclutare infermieri italiani».

Pensa mai di rientrare in Italia e fare qui l'infermiere? 
«No. Non penso proprio di rientrare in Italia , non per motivi di tipo professionale. Dubito fortemente che riuscirei a riadattarmi al contesto infermieristico italiano. Ora qui ho deciso di intraprendere una carriera al di fuori del contesto ospedaliero perché mi permette di lavorare full time da casa e gestire in maniera ottimale la mia vita personale, però continuo anche occasionalmente a fare dei turni in terapia intensiva come infermiere di agenzia. Solo questo ultimo aspetto, il lavorare contemporaneamente in due contesti così diversi, sarebbe impensabile nella realtà italiana».













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