Quando sognavamo di essere campioni sulla pista sotto casa



Avevamo la pista da sci sotto casa, in quegli anni in cui la neve scendeva abbondante anche nei paesi di media montagna. In pratica era un prato, ma più che sufficiente per sognare.

Nel nostro garage c’erano un paio di sci Spalding Persenico Formidable, lunghi 2 metri e 20, di colore giallo fosforescente. Ma in attesa di diventare grandi, in quegli anni Settanta in cui le gare di sci venivano trasmesse il sabato mattina alla televisione, utilizzavamo alcuni sci di legno rossi, con le lamine avvitate sul fianco, che ci erano stati regalati da qualche parente che li aveva usati nel decennio precedente. Sarebbe stato facile (e divertente!) scendere quel pendio con la slitta, ma noi volevamo diventare sciatori e ci ostinavamo a tentare (e ritentare!) di restare in piedi su quelle assi traballanti.

Lo skilift – ovviamente – non c’era e consideravamo gli “allenamenti” sulla nostra pista di famiglia come un banco di prova per essere ammessi (finalmente!) allo sci dei grandi sull’unica sciovia che c’era più in alto, a pochi chilometri dal paese. Salivamo, quindi, a scaletta, con una tecnica che serviva pure a battere la pista, mentre la discesa consisteva in un tentativo (più o meno lungo) di evitare la caduta. Arrivare in fondo, dove il prato spianava, era un successo e poiché era più il tempo che passavamo nella neve rispetto a quello trascorso in piedi, bastava mezz’ora – con quei vestiti antichi - per ritrovarsi bagnati e congelati. Eppure ci ostinavamo a risalire e scendere per imparare i segreti dello sci, con quella tecnica da autodidatti (evviva la torsione del busto) che ancora adesso, che sono passati quarant’anni, è evidente nei nostri movimenti.

In quelle condizioni è un miracolo che ci siamo appassionati. Ma il punto è che – prima o poi – arrivava per tutti quel momento magico ed esaltante, in cui pareva (o era solo un sogno?) di riuscire a governare gli sci e prendere velocità (ah, la velocità!) volando sulla neve. E in quel momento, con il fiato corto per la fatica e l’emozione, desideravamo soltanto una cosa al mondo: salire ancora (e ancora, e ancora) per scendere di nuovo. Possibilmente più veloce. Era un grande divertimento. Anche perché, se non ricordo male, non ce n’erano altri.

Sono tornato di recente in quella casa di montagna dove, con una certa curiosità, ho girato l’angolo e l’ho vista: la nostra pista. Un prato spelacchiato e quasi piatto, tanto che non riuscivo a credere che su quella misera pendenza riuscissimo a prendere velocità (e a cadere!) con i nostri scarponi in pelle agganciati agli sci di legno. Eppure è lì che tutto è iniziato. E’ lì che ci ha contagiato quella voglia di volare sulla neve, quella febbre di scendere sempre più veloci, quella smania di tracciare curve ardite (e bellissime) sul manto bianco che ancora non ci abbandona. Soprattutto quando - come oggi - comincia la stagione.













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