Fabrizio Frizzi, un compagno di un lungo viaggio


Alberto Faustini


Fabrizio Frizzi era uno di noi. Nel senso che era un nostro parente, uno che da anni, ogni giorno, entrava in casa nostra. Con garbo. Delicatezza. Ironia. Educazione. Genuina semplicità. Mai sopra le righe. Mai sguaiato. Mai facendo finta d’essere ciò che non era. Tutte cose un po’ fuori moda e dunque, per diverse ragioni, sorprendenti. Ma era uno di noi anche perché rappresentava perfettamente la nostra normalità. Cosa che diventa ancor più rara nel momento in cui tutti (e la colpa è certo anche dei social, che appiattiscono ogni cosa), si sentono dei fenomeni . Se la morte di Frizzi - che è la morte di un giovane sessantenne affermato e di successo, se mi passate questa definizione - genera tutta questa emozione, significa che abbiamo ancora bisogno di eroi “normali”: di persone che sono profondamente generose senza sbandierarlo, di persone che sono umili e modeste anche se potrebbero a dir poco vantarsi, di persone che possono ancora rappresentare quotidiani esempi per ognuno di noi. Ecco, il fatto che sappiamo ancora riconoscerli, aggrappandoci a loro come se fossero un pezzo di noi e della nostra vita, secondo me è davvero molto bello. S’è forse esagerato nelle dirette, nelle commemorazioni, nei ricordi, nell’esposizione di questo dolore? Nell’era del “tutto subito e tutto in diretta” è inevitabile. Una cosa comunque mi è chiara: Fabrizio Frizzi s’era meritato tutto questo.













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