Alessandro ucciso e fatto a pezzi: un'agonia durata 6 ore
Il racconto agghiacciante della madre: «Mailyn mi chiedeva di ammazzarlo da 6 mesi, veniva picchiata con violenza, insultata ed era stata più volte minacciata di morte. Lo abbiamo stordito con un sonnifero, ma non riuscivamo a finirlo»
GEMONA. Sei, interminabili, ore. Tanto è durata l'agonia di Alessandro Venier, ucciso e fatto a pezzi dalla madre e dalla compagna nella loro villetta di Gemona in provincia di Udine. Il tutto con una bambina di soli sei mesi che dormiva - e si risvegliava per la poppata - nella stanza accanto a quella degli orrori.
La cronaca di quello che appare sempre di più come un delirio è di Lorena Venier, la mamma della vittima, infermiera di 61 anni: "Lo abbiamo stordito con un sonnifero attorno alle 17.30 di venerdì 25 luglio, ma è morto solo verso le 23, perché non riuscivamo a finirlo", le sue parole, agghiaccianti, pronunciate di fronte agli investigatori in un interrogatorio che è durato quasi tre ore.
"Una volta che anche l'insulina ha fatto effetto - ha aggiunto - abbiamo provato a soffocarlo con un cuscino, ma Alessandro continuava a reagire, anche se era privo di forze. Abbiamo tentato anche a mani nude, ma niente. Mailyn allora lo ha strangolato coi lacci degli scarponi. Il piano iniziale non prevedeva di sezionarlo: l'ho fatto, da sola, quando abbiamo capito che il corpo non ci stava nel bidone in cui avrebbe dovuto decomporsi, in attesa di spargere i resti in montagna. A quel punto, con un seghetto, l'ho fatto in tre pezzi e Mailyn lo ha trasportato nell'autorimessa e coperto di calce".
L'insulina usata per narcotizzare il figlio e renderlo inoffensivo in realtà era in casa da molto tempo e sarebbe dovuta servire a ben altro: "Ne avevo due dosi nell'armadietto dei farmaci da circa 5 anni. Le avevo prelevate dal luogo dove lavoro (il Distretto sanitario all'interno dell'ospedale cittadino, ndr), perché all'epoca avevo deciso di utilizzarle per uccidermi".
Già in quel periodo il rapporto con il figlio era deteriorato: il giovane aveva ricevuto varie denunce per reati legati agli stupefacenti, ma anche alla detenzione illegale di armi e per aver picchiato alcune persone. Tutto è cambiato tre anni fa, quando in famiglia è entrata Mailyn. Il rapporto tra le due donne è diventato quasi simbiotico. E con l'arrivo recente della nipotina si è ulteriormente rinsaldato. "Era lei che mi chiedeva di uccidere mio figlio Alessandro da mesi, fin dal giorno della nascita della loro bambina, a gennaio" ha riferito Lorena. "Lei veniva picchiata con violenza, insultata e più volte minacciata di morte: mio figlio minimizzava la sua depressione post partum, quando ho detto che lo avrei denunciato, mi ha tirato un tremendo pugno sulla schiena". È stata questa violenza e il terrore di eventuali rappresaglie a frenare sempre le due donne dal denunciare l'uomo. Infatti, ai Carabinieri non risultava alcuna segnalazione in merito. Il clima era proprio di violenza e minacce quotidiane: "Ti porto in Colombia e ti annego nel fiume, tanto laggiù non ti cerca nessuno", aveva detto Alessandro alla convivente. E' stata questa la frase che ha convinto le due donne a ideare e mettere in pratica il loro disegno criminale. Uccidere l'uomo e far sparire i resti. "Una volta calmate le acque, Mailyn sarebbe tornata in Colombia, dalla sua famiglia, con la bimba. Io sarei volata a trovarle appena andata in pensione", è l'epilogo che avevano immaginato suocera e nuora. "Alla figlia, avremmo raccontato solo cose belle del papà, lo avremmo descritto in buona luce, tenendo per sempre nascosta la verità della violenza che abbiamo subito", la conclusione della confessione.