Ciclismo

Benedetti: «Non ho ancora contratto, ma non invidio la vita che fa Sagan» 

Il trentino compagno di squadra del campione del  mondo: «Peter assediato dai tifosi, come i Beatles»


di Maurizio Di Giangiacomo


TRENTO. Cesare Benedetti pedala verso i 31 anni. Il trentino della Val di Gresta, residente a Mori, sposato con una ragazza polacca che gli ha già dato una bella bambina, da nove stagioni difende i colori della tedesca Bora-hansgrohe (prima Bora-Argon 18 e prima ancora NetApp), con la quale ha da poco portato a termine un ottimo Giro d’Italia (tre vittorie di tappa con il velocista irlandese Sam Bennett e terzo posto nella classifica a squadre). Poi ha corso a Gippingen in Svizzera, a Colonia (dove è andato nuovamente a segno Bennett) e – fino a domenica scorsa – al Giro di Slovenia. “Cece” è in sella dalla fine di gennaio, senza pause, con 56 giorni di corsa. Il 30 giugno è atteso dal campionato italiano di Darfo Boario, dove cercherà di aiutare il corregionale e compagno di squadra Daniel Oss a cogliere la maglia tricolore, prima di un finale di stagione tra Giro di Polonia (4-11 agosto), Bretagne Classic (26 agosto), altre due corse in Francia il 22 ed il 23 settembre e il Giro di Turchia (9-14 ottobre).

«Sono contento di tornare a correre in Polonia, quasi tutte le tappe sono in Slesia, la regine di cui è originaria mia moglie – ci ha detto, in visita alla nostra redazione – È una bella corsa, organizzata bene. Quest’anno ho saltato il Tour of the Alps, la corsa di casa è il Giro di Polonia».

Benedetti, ci faccia capire: dove vorrebbe che crescesse la sua bambina? In Trentino o in Polonia?

«Mi piacerebbe che andasse a scuola in Polonia, dove sono ancora vecchio stampo, c’è più educazione e rispetto per le tradizioni. Il Paese non si è sviluppato in fretta come l’Italia, ha conservato tante buone abitudini. D’altro canto, vorrei che crescesse con attorno le montagne del Trentino. Vedremo».

E lei, cosa vorrebbe fare “da grande”? E, soprattutto, vorrebbe farlo in Trentino o in Polonia?

«In questi anni ho conosciuto tante persone, tante aziende, parlando quattro lingue (polacco, tedesco, inglese e italiano) potrei ricoprire diversi ruoli nel mondo del ciclismo, anche quello di addetto stampa di qualche squadra: anche la mia Bora-hansgrohe, che già fa tanto, potrebbe fare un lavoro ancora migliore sul fronte media».

Ha conosciuto tanti personaggi, anche il numero 1 del ciclismo mondiale: Peter Sagan.

«Quest’anno abbiamo corso assieme solo Sanremo e Amstel, l’anno scorso un po’ più spesso. Peter è così, come lo vedete nelle interviste, anche peggio... Mi rendo conto che a qualcuno può dare fastidio, anche a qualche suo avversario, ma Sagan è fatto così. Io non lo invidio, non fa una vita facile: in Slovacchia non entra in un supermercato da quattro anni; l’ultima volta che è andato a fare benzina ci ha messo un’ora e mezza. La sua popolarità non è quella di un altro sportivo, è paragonabile a quella dei Beatles: mi sono trovato assieme a lui, sul pullman della squadra, assediato dalle ragazzine che urlavano, scene folli, con i più giovani travolti dalla folla».

Dove sta il talento di Sagan?

«È nella grande capacità di recupero: quando ha vinto il secondo titolo mondiale in Qatar c’erano avversari decisamente più veloci di lui, ma Peter è capace di emergere in una corsa dura come quella. Recupero e capacità di soffrire. Ogni tanto sembra che non si renda nemmeno conto del motore che ha: quanto tu sei al gancio, lui gioca».

Quell’abilità in sella gli deriva dalla mountain bike?

«È frutto dell’allenamento, assieme ad un po’ di pazzia, che lo aiuta tanto: in volata passa da una ruota all’altra con facilità. Lui non ha bisogno del treno, basta portarlo all’ultimo chilometro, poi s’arrangia. Anzi, va meglio senza. Ma, con tutti gli impegni che ha con gli sponsor, non so quando possa allenarsi».

Al Giro d’Italia, però, avete dimostrato di essere una squadra anche senza Peter Sagan.

«Sì, è vero. È stato bello perché io, Bennett e Konrad corriamo già da tanti anni per la Bora, abbiamo fatto tutto un percorso di crescita assieme, abbiamo saputo perseguire degli obiettivi: tre tappe con Sam e 11 podi complessivi».

E lei non ha dovuto andare in fuga tutti i giorni, come succedeva fino a qualche anno fa.

«La fuga è la necessità delle squadre più piccole, per mettere in mostra lo sponsor nella speranza che l’azione arrivi al traguardo. Tra il 2016 e il 2017, con gli ultimi arrivi in squadra, mi sono riadattato, da “preda” a “cacciatore”, a chiudere sulle fughe. E riesco a farlo bene».

Lei è in scadenza di contratto: conta che la Bora-hansgrohe glielo rinnovi ancora una volta?

«A parole sono tranquillo. Sono alla mia nona stagione nella Bora, prima NetApp. Ci sono approdato nel 2010 dopo lo stage alla Liquigas. Non volevo rimanere dilettante, forse ho un po’ rischiato, firmando per una piccola squadra Continental come quella di allora ma, almeno fino ad oggi, ho vinto la mia scommessa. Nell’anno successivo la società divenne Professional e cominciò a prendere parte a buona parte delle corse del circuito internazionale».

Nel 2015, però, la sua carriera con la Bora-Argon sembrava finita.

«In agosto mi chiamò il manager, Ralph Denk, mi disse che avrebbe dato una chance ad alcuni giovani talenti tedeschi e che per me non ci sarebbe stato spazio. In quel finale di stagione corsi maggiormente per me stesso, riuscii a chiudere nei primi quindici al Lombardia e il contratto mi venne confermato. Come confido che succeda anche alla fine di questa stagione».

Twitter: @mauridigiangiac

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