Visco: più conoscenza anche se paga tardi

Il governatore di Bankitalia: «Crisi, tanti responsabili». La crescita mancata dell’Italia? «Un capitale umano debole e l’80% di imprese familiari»


di Chiara Bert


TRENTO. La prima volta di un governatore della Banca d’Italia al Festival dell’economia. «Imparare dagli errori», si intitola la conversazione di Ignazio Visco con il direttore del Trentino Alberto Faustini sul palco del Teatro Sociale. Il capo di Bankitalia si schermisce, non è cosa da governatori parlare a braccio di fronte al pubblico di un festival, e rispondere alle domande dei giornalisti. Lui ci prova, e sforna una lezione sulla crisi economica che guarda però anche alle debolezze strutturali del sistema Italia. Non offre ricette ma indica i nodi su cui lavorare per invertire la rotta e promuovere quella crescita che il Paese insegue.

Crisi, tanti colpevoli. Gli errori che Visco analizza sono quelli che hanno portato alla crisi finanziaria del 2007. E sono stati «errori di tutti», scandisce, «i segni premonitori di quanto stava maturando c’erano già, ma gli economisti non sono riusciti ad essere buoni consiglieri della politica e buoni comunicatori nei confronti dei cittadini e delle imprese». Gli errori sono stati dei mercati, o meglio degli intermediari finanziari. Di chi doveva vigilare (i revisori delle banche) e non l’ha fatto, anche se in Italia meno che in altri Paesi. Delle politiche economiche.

I mercati fanno meglio? Non da soli. Il mondo della finanza è il primo imputato della crisi. «L’eccesso di crescita della deregulation - analizza Visco - è stata la reazione al fallimento delle politiche pubbliche degli anni ’70 che hanno prodotto stagflazione e disoccupazione. I mercati, si disse, fanno meglio». «La fine della Guerra fredda è il vero spartiacque, quando le grandi potenze facevano la corsa allo spazio e una serie di tecnologie vennero portate all'uso civile. Lo stesso cambiamento climatico è probabilmente legato alla globalizzazione, con tutti i progressi che la globalizzazione ha prodotto. Nel 1990 erano un miliardo le persone in condizioni di povertà estrema. Oggi sono poco meno ma la popolazione mondiale è aumentata di 2 miliardi. Quindi gli effetti sono stati anche positivi». «La finanza in sè non è né buona, né cattiva, la buona finanza è positiva e consente di trasferire risorse dall’oggi al domani. Il problema - avverte Visco - è l'attenzione a che la finanza non contenga in sè i segni per l'instabilità, e in questo caso bisogna ridurla. Se andiamo a ritroso nella storia, i mercanti italiani hanno inventato le lettere di cambio, il microcredito è un'innovazione finanziaria straordinaria, che in Paesi estremamente poveri ha consentito di ridurre la povertà. Il venture capital, che si diffonderà anche in Europa, ha consentito la nascita di società come Intel, Apple e Google».

Regole e comportamenti. Il governatore cita Orazio, leges sine moribus vanae, senza i comportamenti giusti, le regole sono vane. Quando le regole della vigilanza finanziaria si sono affievolite, gli errori sono stati nei comportamenti degli intermediari, «banchieri con una visione corta, che cercavano di fare profitti di breve periodo a discapito della stabilità della banche sul lungo termine». E puntando su un aumento continuo dei redditi (previsione sbagliata), gli istituti di credito hanno aumentato i prestiti fino alla crisi dei mutui americani.

I correttivi però sono stati messi in atto, rassicura Visco: oggi la cooperazione internazionale è più forte, e il G20 del 2009 a Londra ha posto le basi per la regolamentazione finanziaria.

Italia, debito e crescita mancata. La crisi finanziaria è diventata crisi dei debiti sovrani - prosegue il governatore - anche per errori di politica economica, perché «non abbiamo abbassato il debito quando si poteva, e questo vale per alcuni Paesi come la Grecia, che lo ha anche nascosto». L’Italia lo aveva in parte abbattuto con le privatizzazioni ma poi «con la crisi noi non siamo cresciuti più e il rapporto con il Pil è tornato a salire». Da vent’anni il Paese non cresce, è la fotografia di Visco. Che individua due debolezze. La prima: «Si è investito poco in conoscenza perché il rendimento è molto differito nel tempo, quindi bisogna fare uno sforzo per avere benefici per quando non si è più al governo». La conseguenza è che «l’Italia non ha il capitale umano richiesto dalle nuove tecnologie», secondo un'indagine Ocse 7 italiani su 10 non sono in grado di comprendere ciò che leggono e lo stesso vale per capacità logico matematiche. Secondo deficit: le piccole imprese, che sono la nervatura del nostro sistema produttivo, «una volta finito il vantaggio del cambio, non sono riuscite a stare al passo in termini di innovazione e dunque a stare sul mercato». Un dato su tutti: in Italia l’80% delle aziende ha management familiari, «a volte molto bravi ma non è normale». In Germania siamo al 30%.

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