«Scordatevi il benessere pre-crisi»

Il Nobel per l’economia Michael Spence: il «New normal» sarà la metà dell’offerta di lavoro precedente il 2008


di Giulia Merlo


TRENTO. «Abbiamo avuto un attacco di cuore, non siamo morti e per questo riteniamo che guariremo presto. Onestamente credo che siamo troppo ottimisti». Parola di Michael Spence, premio Nobel per l’economia nel 2001 e professore di economia alla Stern Business School della New York University che ieri, su invito della Fondazione Bruno Kessler, ha tenuto una lectio magistralis agli studenti della facoltà di Sociologia.

La crisi scoppiata nel 2008 ci ha portati ad una situazione di transizione epocale in ambito macroeconomico. Non si tratta solamente di una fase ciclica discendente e poi necessariamente ascendente come tante se ne sono susseguite negli ultimi anni, e per questo è necessario distaccarsi dal vecchio modello di crescita che ci ha guidato fino ad ora ed accettare la cosiddetta “New Normal”. Il termine “New Normal”, coniato da Bill Gross, fondatore della Pimco, il più grande fondo di investimenti del mondo, indica essenzialmente la nuova normalità al ribasso creata dalla crisi economica: scordiamoci quindi che si ritorni alla piena occupazione, ai grandi profitti e agli alti dividendi.

«La crisi ha alterato la struttura del mercato del lavoro – ha spiegato il professor Spence – e, anche dopo la stabilizzazione del mercato finanziario del maggio 2009, la domanda ha mandato messaggi fuorvianti: c’era una crescita, alla quale però corrispondeva una mancata flessione positiva dell’occupazione».

Per dare una dimensione concreta seppur approssimativa: se prima della crisi l’offerta di lavoro era di cento unità e durante la crisi è scesa a dieci, passata la crisi il livello di occupazione, secondo la teoria “New Normal”, si assesterà intorno alle cinquanta unità. La prospettiva è che avvenga, come già sta avvenendo in molti Paesi, un aggiustamento strutturale che va in direzione di una crescita sostenibile. Tuttavia, secondo il premio Nobel, «questo aggiustamento necessita di tempo, la sua effettività è influenzata dal livello di investimento pubblico, ma il freno principale è rappresentato dal processo, più o meno lento, di  riduzione del livello di indebitamento delle istituzioni finanziarie». Inoltre, anche quando questo processo si completerà, sarà necessario risolvere la spinosa questione di come raggiungere un livello socialmente accettabile di distribuzione dei frutti di questo nuovo equilibro. Per i non addetti ai lavori, si tratterà di una redistribuzione dei redditi, inferiori rispetto a quelli pre-crisi, che non dimentichi le fasce più vulnerabili del mercato del lavoro. Sulla situazione italiana ed europea, Spence è asciutto e lapidario: «L’Italia funziona a due velocità, con un nord più simile agli Stati del Nord Europa, che ha saputo adattarsi alle conseguenze della crisi, e un sud che fatica. Inoltre il mercato del lavoro continua ad essere poco flessibile, anche a causa di monopoli locali soprattutto per quanto riguarda le professioni, ed è influenzata in modo significativo da una politica statale protezionista».

Come uscirne? La risposta è altrettanto decisa: attraverso politiche serie di riforma, una seria riduzione dell’imposizione fiscale, una politica economica sulla scia di quella tedesca, ma soprattutto spingendo per la creazione della Banca Centrale Europea. Unica rassicurazione concessa, è che «l’Italia è lontana dalla situazione disastrosa della Spagna, che naviga ancora in acque agitate perché la loro è una crisi legata agli immobili e alla incapacità di fare fronte ai mutui, molto simile per certi versi a quella statunitense».

Vanno dunque rimodulate le strategie del mercato del lavoro e gli interventi pubblici anche se, ha concluso Spence, l’economia non è una scienza esatta e nessuno ha risposte certe: «Solo, è certo che vincerà chi interiorizzerà prima e sfrutterà meglio le potenzialità della globalizzazione».

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