Sapienza, l’uomo che cammina fra la natura e le realtà umane

Domani pomeriggio a Comano presenta il suo ultimo libro e parla delle sue esperienze «Siamo una comunità e dobbiamo comportarci da comunità, come le radici degli alberi»


di Fausta Slanzi


di Fausta Slanzi

«Camminando non temo il sonno. Camminando, non temo la verità. Camminando, non ho paura di non arrivare dove la via del ritorno riscrive la visione. Camminando ho imparato a stare fermo»: così Davide Sapienza, nel suo libro “Camminando”, Luberina Editore per il cartaceo, Feltrinelli per l'ebook. Domani pomeriggio, a partire dalle ore 17, Davide Sapienza sarà a Comano, al Palazzo delle Terme, nell'ambito della rassegna “Trentino d'Autore”. Lo abbiamo intervistato, prima della sua presenza trentina.

Camminare come metafora dell'imparare nel corso della vita?

«La cosa più interessante è che diamo il “camminare” come azione scontata. Il che è vero. Ma non siamo nati in piedi: ci siamo alzati, abbiamo camminato, stiamo camminando. Nel movimento si spezzano gli ancoraggi con ciò che è statico, conosciuto, fermo. Questo ci permette di elaborare nuove soluzioni: nuovi ancoraggi, nuovi movimenti. Così è per me. E' anche il fulcro del mio modo di muovermi, che utilizzo ad esempio professionalmente quando scrivo articoli, saggi, nelle conferenze, nelle performance con i musicisti con cui lavoro».

I piedi sono l'inconscio del nostro corpo?

«Assolutamente: ora nel saggio “L'intelligenza dei piedi” ho proprio voluto sottolineare questo. Me ne accorsi tanti anni fa in montagna, il messaggio veniva dall'inconscio che semplicemente diceva di lasciarmi andare. E' fondamentale pensare con il corpo. Per questo non sottoscrivo il pensiero cartesiano, la separazione del corpo dalla mente, l'arroganza del cervello della scatola cranica che vuole dominare il cervello libero del sangue, delle articolazioni, della percezione. A me interessano le porte della percezione. Io vengo dal rock: il rock è immaginazione. Essere troppo intellettuali invece significa uccidere l'immaginazione. Ecco, sono uno scrittore progressive. Immaginazione al potere».

Camminare ci fa stare in armonia con il corpo e la mente?

«Muovere il corpo lo ripulisce. Se siamo “puliti” abbastanza da poterci muovere senza affanni e preoccupazioni, l'ansia si placa, i problemi si ridimensionano. Dobbiamo cercare l'armonia, perché mai come in quest’epoca il “pensiero contrario” sta prendendo possesso del modo di discutere e di fare opinione. Facciamo parte della Natura, non ne siamo i padroni. Dobbiamo sentirci componenti di questa comunità di creature, meritarci di farne parte. Parlare di diritti dell'uomo senza parlare dei diritti di nostra madre, la Natura, significherà sempre riconoscere diritti individuali e non collettivi. Siamo una comunità. Dobbiamo comportarci come tali: come le radici degli alberi, ognuna di esse cerca una sostanza nutriente diversa per rendere forte l'albero. E' l'unica crescita in cui credo. Quella economica è un suicidio. E' disarmonia».

Sentieri d'autore, la sua rubrica, le permette di condividere profonde riflessioni con i lettori: che riscontri ha?

«Mi scrivono tanti lettori dicendo “in effetti quel luogo che ci hai indicato, descritto così diventa un luogo personale dove ognuno può vederci ciò che vuole”: non ho inventato nulla, cerco solo di evidenziare particolari e dettagli che servono a ridarci una direzione da seguire. Perché c'è solo una direzione giusta, interiormente: il nostro destino. Sentieri d'autore sono una condivisione, un incontro. E' un grande privilegio e non sarò mai abbastanza grato a Marco Brizzi, che al Corriere di Bergamo ha voluto darmi questo spazio “leggendomi” bene e condividendo con me quasi fisicamente ogni uscita».

Rubha Hunish, a cui ha dedicato anche un libro, è un luogo dell'infinito, dell'immensità, della mente?

«Sì. Quando giunsi a Rubha Hunish nel maggio 2002 provai qualcosa che ancora oggi mi “trafigge” ed esserci tornato volutamente per “Camminando” dodici anni dopo è stato straordinariamente bello: abbiamo chiuso un discorso, ci siamo “parlati”. L'immensità e l'infinito in quel luogo si erano cristallizati per me nella nascita de “I Diari di Rubha Hunish”, avevano fatto da catalizzatore, con quel nome che suona così strano e particolare. Ma del resto l'isola di Skye è un luogo particolarissimo, soprattutto a inizio primavera. Dentro di me per dodici anni Rubha Hunish ha rappresentato un luogo amico dove viaggiare con il desiderio, un luogo dove perdere l'appartenenza e fondermi all'oceano».

La definizione di neve, per Davide Sapienza...

«La neve è la nuova opportunità. Torna e se ne va, per alcune settimane, mesi, giorni, ci racconta che è possibile creare e ricreare. Ci dice che noi siamo creati ma anche creatori: la neve è l'immaginazione e il sentiero possibile. La neve, per me, è il mistero tangibile».

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