«Qui parlo delle qualità della nostra cittadinanza» 

L’intervista. Ferruccio de Bortoli arriva in Trentino per una serie di incontri pubblici nel corso dei quali parlerà del suo nuovo libro, «Ci salveremo», ovvero «appunti per una riscossa civica»


Tina Zafaluss


Lavarone. «Penso che il giornalismo abbia fra i propri compiti anche quello di costruire, non soltanto quello di denunciare e indicare le priorità a una classe dirigente, a una classe politica e a un’opinione pubblica e mi sono accorto che in questi anni abbiamo un po’ sottovalutato gli aspetti positivi della nostra vita comune. Per esempio il fatto che ci sia un grandissimo capitale sociale»: così Ferruccio de Bortoli quando gli chiediamo l’origine del suo ultimo libro, “Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica”, Garzanti editore. Ferruccio de Bortoli, già direttore del Corriere della Sera e de Il Sole 24 ore, è atteso in Trentino, a Caldonazzo, alla Magnifica Corte Trapp, domani alle ore 18, invitato dagli organizzatori dell’Agosto Degasperiano e l’incontro sarà dedicato a “Raccontare il tempo. L’informazione tra sfiducia e riscossa civica”, con le domande di Fausta Slanzi. Poi il 21 alle ore 17.15 al Centro Congressi di Lavarone il libro di Ferruccio de Bortoli “Ci salveremo” con il suo autore tornerà al centro della scena così come il 23, alle ore 17 a Comano Terme nell’ambito di Trentino d’Autore.

«Gli italiani sono molto generosi - continua Ferruccio de Bortoli -. Oggi, anche forse per una serie di episodi sui quali non voglio nemmeno soffermarmi, passiamo come rancorosi, non solidali, egoisti, respingenti, anche scontrosi e poco costanti. Penso invece che ci siano tantissime qualità che noi stessi non siamo in grado di riconoscere e valorizzare. L’idea di fondo del libro è quella di parlare non tanto delle scelte politiche degli italiani ma del livello, della bontà e della qualità della cittadinanza. Io sono critico nei confronti della maggioranza che si è appena sciolta e sono stato critico anche nei confronti dei governi precedenti, però sostengo che la preoccupazione di tutti dovrebbe essere quella di assicurare una cittadinanza consapevole, che peraltro riscontriamo in alcune parti d’Italia. Quando parliamo per esempio della vostra regione, sappiamo benissimo che c’è un livello di cittadinanza elevato e c’è una qualità delle comunità molto alta. La cittadinanza vuol dire riscoprire il senso comune, i beni comuni, il fatto che le parti pubbliche debbano essere tenute con rispetto, con decoro, ci debba essere una consapevolezza di quelli che sono i nostri diritti ma, anche, un’uguale consapevolezza di quelli che sono i nostri doveri. Abbiamo tante qualità ma anche molti difetti dei quali forse a volte ci dimentichiamo, oppure li consideriamo quasi difetti simpatici: evadere le tasse, essere furbi, avere un atteggiamento ondivago nei confronti della legge... Da questo punto di vista penso che la grande emergenza di questo Paese sia una verifica del proprio livello di cittadinanza che peraltro in alcune comunità c’è ma fatica ad avere una sintesi regionale, una sintesi nazionale».

Nel libro fa l’esempio di due cittadini, uno di Cremona e uno di Pesaro, che, però, non sono italiani...

«Sì sono giapponesi ospiti del nostro Paese (che amano) e si sono messi a pulire gli spazi davanti a casa. Se tutti ci occupassimo un po’ di più del decoro degli spazi pubblici di prossimità!... Lo dico semplicemente perché il decoro è la veste della civiltà. Le persone che arrivano nel nostro Paese ci giudicano da come sono tenuti gli spazi pubblici. A volte consideriamo gli spazi pubblici come di nessuno, e quindi riteniamo normale che ci sia dello sporco: i due giapponesi hanno preso scopa e paletta e sono andati a occuparsi degli spazi comuni. Due cittadini giapponesi hanno fatto quello che dovremmo fare tutti e, invece, pensiamo che non sia compito nostro. Io sono molto critico nei confronti della società civile romana, pur amando moltissimo Roma, perché con questo senso di distacco a volte un po’ cinico, a volte un po’ beffardo, “ma tanto passerà tutto”, credo che laddove esiste una grande società civile, il problema dei rifiuti si risolve. Il fatto di non saper gestire i propri rifiuti, di non saper fare la differenziata è la misura della nostra inciviltà, ma chi viene nel nostro Paese ci giudica da quello».

Un capitoletto del libro è dedicato al buon esempio che non fa scuola …

«L’esempio è la miglior forma di insegnamento ma quanti esempi negativi dà la classe dirigente? Lasciamo perdere la classe politica, usciamo un attimo dalle spiagge, dal Papeete Beach e dalle tante espressioni volgari di una stagione triste della politica italiana, ma la classe dirigente, dà sempre il buon esempio? Io penso di no, perché quando hai la sede fiscale all’estero non dai un buon esempio, quando tu non condividi gli oneri della cittadinanza con il cittadino comune che non può fare il Tax planning non dai un buon esempio. In altri Paesi chi non paga le tasse viene escluso dalla società, da noi viene compreso, viene condonato, viene persino premiato. Noi abbiamo l’esaltazione del furbo, perché il furbo è quello che riesce a fare lo slalom tra le leggi e a evadere gli obblighi e si impone come esempio positivo da imitare. Invece no, è un esempio fortemente negativo perché in qualche modo riduce la qualità della cittadinanza, la impoverisce, la immiserisce e rende la società non solo più sporca, ma più cattiva perché, ovviamente, laddove non ci sono regole non c’è libertà. Il tema regole e libertà è un tema fondamentale nell’era digitale, cioè, tu hai la libertà quando ci sono delle regole certe e il maggior numero di persone le osserva. Non hai la libertà nella giungla, nell’anonimato in rete, non hai la libertà nell’aggressione pubblica in rete. Hai la libertà, anche di comunicazione, quando ci sono delle regole. Noi abbiamo uno scarso rispetto delle regole e, siccome le rispettiamo poco, ne facciamo tante, troppe».

A un certo punto nel libro scrive di veleni che rilascia la rete e accenna ai manipolatori, anche fra i giornalisti.

«Gli errori li commettiamo tutti, l’importante è riconoscere gli errori che si commettono perché con una comunicazione che è diventata istantanea, non è più come quarant’anni fa, che i giornali uscivano una volta al giorno... adesso i giornali escono ogni minuto, ogni secondo e la tempestività, purtroppo, fa premio sull’accuratezza dell’informazione. È chiaro che la buona informazione è un’informazione che riconosce i propri errori ma anche che si assume le responsabilità. Oggi abbiamo una quota crescente di informazioni, spesso false, spesso manipolate, delle quali non conosciamo le origini, gli autori, quindi non è possibile rintracciare i responsabili di eventuali manipolazioni o falsificazioni. Questo è lo stato di quella “blogosfera” che è anche un fattore di grande libertà, che però richiede regole, disciplina e responsabilità. La regola di fondo dell’informazione è quella americana racchiusa nella formula accuracy and credibilità, accuratezza-credibilità. Penso sia quella che ancora oggi vale. Ma se la rete nella sua finta libertà è un insieme di algoritmi che seleziona ciò che uno vorrebbe sentirsi dire, che non aiuta la crescita di un pensiero critico ma lo deprime, che non fa crescere il cittadino che vuole informarsi, confrontando posizioni diverse e non fermandosi alle verità ufficiali, credo, a questo punto, sia un fatto che pone in serio pericolo le basi stesse della democrazia. La democrazia si regge su una pubblica opinione avvertita, responsabile, ben informata, in grado di scegliere. E qui torniamo ai tempi di Einaudi, di Degasperi, cioè la responsabilità per i propri atti e l’obbligo, anche morale, della rendicontazione nei confronti di un pubblico, che è quello che ti dà la legittimità».

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