Quell’agitatore (contro)culturale di nome Marco Philopat 

Trento, alla Bookique l’ autore de “I pirati dei Navigli” che racconta la figura di Primo Moroni Oggi pomeriggio il talk con Luca Giudici, esperto di letteratura di genere



TRENTO. Ha ripreso da dove aveva concluso in “Costretti a sanguinare”, viaggio in forma di romanzo nella cultura underground milanese dei primi anni Ottanta, tra punk, nuove tecnologie e centri sociali. Qui, ne “I pirati dei Navigli” (Bompiani), sorta di sequel, Marco Philopat passa in rassegna il periodo che va dal 1984 alla caduta del muro di Berlino.

“Agitatore” culturale, conoscitore delle controculture per averle vissute in prima persona, fondatore di case editrici alternative, ne “I pirati dei Navigli” Philopat tratteggia la figura di Primo Moroni, a sua volta scrittore, libraio, intellettuale, figura di riferimento della sinistra extraparlamentare come degli anarco punk e del sindacalismo di base, scomparso nel 1998. Philopat sarà oggi, 19 aprile, a Trento, alla Bookique di via Torre d’Augusto (ore 18) dove dialogherà con Luca Giudici, esperto di letteratura di genere (la serata è promossa dalla Piccola Libreria di Levico Terme).

«In questi ultimi anni tutti mi chiedevano come era andata a finire con gli amici e i compagni di cui scrivevo in “Costretti a sanguinare”. E allora mi sono messo lì a scrivere il seguito. E poi mi sono accorto, studiando i documenti, che il periodo dei secondi anni Ottanta milanesi non era stato poi molto indagato dalla letteratura», attacca lo scrittore.

E come si è mosso?

«Beh, ho iniziato raccogliendo le testimonianze di tutti quelli che hanno partecipato ai movimenti underground di quel periodo. C’ho messo un paio d’anni e poi mi sono messo a scrivere. In sei mesi di full immersion ho buttato giù il romanzo».

Quella era la “Milano da bere”. La risposta fu l’underground, la controcultura?

«All’inizio, certo eravamo un gruppo sparuto, molto pochi. In parte si proveniva dal punk, in parte erano studenti di informatica e sociologia. Ci ritrovavamo dentro la libreria Calusca, quella che Primo Moroni aveva aperto nei primi anni Settanta. E’ lì che abbiamo iniziato a fare la rivista Decoder ma, nello stesso tempo, creato uno spazio gestito, l’Helter Skelter, dentro il Leoncavallo. C’era una grande vivacità culturale, uno spazio di sperimentazione sulla comunicazione unico, nasce anche il Centro sociale Cox 18, in un periodo dominato dai socialisti e dalla “Milano da bere”, dell’aperitivo e della moda. Era un posto, tuttora aperto, nel quale confluivano, mano a mano, anche i ragazzi che venivano dalle periferie, dai quartieri più popolari, ma pure i tifosi del Milan, i motociclisti, le femministe, tanti cani sciolti. C’era un po’ di tutto».

Ne “I pirati dei Navigli” c’è la figura di Primo Moroni. Come ha mischiato realtà e fantasia?

«Si parte dalla realtà, è tutto vero. Dalla prima all’ultima riga. Ovviamente lo svolgimento è romanzato, alcuni fatti sono racchiusi dentro un dialogo e comprendono una serie di eventi, cose che succedono. Il protagonista è il mio avatar, ovvero Philopat, un personaggio molto fragile. A tutti quelli che ho sentito per raccogliere materiali ho chiesto anche di me e non nascondo che è stato difficile, dal punto di vista psicologico, gestire questa massa di informazioni, veramente imponente. Anche perché dovevo creare un anti-eroe, per evitare di scivolare nella nostalgia. Alla fine ne è uscito un romanzo d’avventura, fin dal titolo».

Primo Moroni cosa ha rappresentato per la Milano di quegli anni?

«È stato un personaggio notevole per la controcultura e i movimenti di quel periodo. Legato agli anni Settanta, ha traghettato tutti quei saperi nel decennio successivo dove i compagni non c’erano più perché erano in galera, o tossicodipendenti o, i più ricchi, rientrati nei ranghi. Moroni è riuscito ad instillare i valori dei Settanta in noi giovani cyber-punk».

È rimasto qualcosa di quel periodo?

«C’è il Cox 18 (il Centro sociale Conchetta) che è un vero gioiello culturale.

A livello musicale e letterario propone artisti di grande livello. E l’ ingresso è quasi gratuito, con pochi euro si entra. Altro che concerti a 40,50, 200 euro come è la norma in questi anni…. E poi l’esplosione dei Centri sociali negli anni Novanta che, tra crisi e momenti alti, sono ancora sulla scena». (pa.pi.)

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