L’omaggio della Sat a Bruno Detassis, la leggenda del Brenta

Gli scrittori di montagna lo sanno bene: non esiste una storia dell’alpinismo “tout court”, esistono le storie di singoli alpinisti, figure simbolo, come quella di Bruno Detassis, un punto di...


di Elena Baiguera Beltrami


Gli scrittori di montagna lo sanno bene: non esiste una storia dell’alpinismo “tout court”, esistono le storie di singoli alpinisti, figure simbolo, come quella di Bruno Detassis, un punto di riferimento, per intere generazioni di alpinisti, grazie a quel suo concepire la montagna non tanto per le imprese che racconta, ma per le emozioni di vita vissuta che regala, dove non è il raggiungimento della vetta, ma la vita stessa la conquista più importante. La barba patriarcale, la pipa in bocca, il cappello di feltro, lo sguardo in direzione delle cime del Brenta, sono i tratti di una icona, non solo dell’alpinismo, il passaggio terreno di Bruno Detassis incarna infatti l’emblema della vicenda umana del Trentino nel secolo breve. Bruno nasce a Trento nel 1910, a quattro anni, allo scoppio della Grande Guerra è deportato a Jiccim in Boemia, con la famiglia, la mamma Oliva e il padre Antonio. In città Bruno adolescente lavora come fabbro e frequenta le scuole serali, poi passa in fonderia e infine impara il mestiere di idraulico. Quanta vita in quei primi anni, una vitalità prorompente in quello stesso anelito di libertà che folgora il giovanissimo Detassis un giorno d’estate a 16 anni, salendo da capo cordata sulla cima della Paganella. Lo sguardo è ormai puntato verso l’alto e lassù resterà, nel Gruppo del Brenta, dove Detassis ha impresso il racconto più autentico di un lungo ed intenso abbraccio con le montagne, interrotto soltanto nel campo di concentramento di Oerbke vicino ad Hannover, dove fu detenuto dopo l’ 8 settembre fino all’ arrivo degli americani nell’ aprile del 1945. Lassù sulle cime del Brenta, dove dopo la guerra Bruno non vede l’ora di tornare, ha cercato le vie più ardite, ha accompagnato da guida alpina centinaia di persone, conquistate dalla dimensione verticale. Autore di oltre 200 nuove vie, guida alpina, gestore per lunghissimo tempo del Rifugio Brentei, istruttore di alpinismo e di sci, ha legato indissolubilmente il suo nome in particolar modo alle montagne di casa, ma è stato anche il primo ad aprire la via patagonica ai trentini, nel 1958 con il fratello Catullo, Marino Stenico, Cesare Maestri, Luciano Eccher e Cesarino Fava, un anno prima del famosissimo Cerro Torre di Maestri e Toni Egger. Come fu anche il primo, spalla a spalla con Bonatti, a realizzare la traversata delle Alpi con gli sci, insieme al fratello Catullo, Angelo Righini e Fortunato Donini nel 1956. Bruno si spegne nella sua casa di Madonna di Campiglio l’8 maggio del 2008 a 98 anni, dopo aver scritto indimenticabili pagine di storia dell’alpinismo dolomitico insieme a Ettore Castiglioni, Enrico Giordani, Rizieri Costazza, Paolo e Giorgio Graffer, Marino Stenico, Fino Serafini, Cesare Maestri. A dieci anni dalla morte dunque non solo doveroso, ma profondamente sentito, sarà il ricordo del mondo alpinistico all’indimenticato custode del Brenta. La SAT in collaborazione con Trento Film Festival celebrerà Bruno Detassis con la prima mostra, non solo sull’alpinista, ma anche sulla figura umana di Detassis, allestita in parte nello Spazio Alpino SAT ed in parte a Palazzo Trentini, l’esposizione verrà inaugurata oggi, lunedì 23 aprile alle 18. Oltre alla mostra è in programma una serata evento alpinistica con le testimonianze dei più noti alpinisti del momento, il 3 maggio all’Auditorium S. Chiara di Trento alle 21. Autori della kermesse, così ricca e completa da richiedere due sedi espositive Adriano Dalpez, già presidente della Camera di Commercio di Trento, istruttore di alpinismo e grande amico e biografo di Bruno Detassis e Riccardo Decarli, scrittore e bibliotecario SAT, mentre curatore della mostra è Roberto Festi. Il materiale esposto in 6 vetrine deriva per la maggior parte dall’archivio della famiglia Detassis, dai figli Claudio e Jalla, quindi vecchie foto, articoli di quotidiani e riviste degli anni ’30, i libretti di Guida Alpina, gli sci della famosa attraversata delle Alpi del ’56, un sacco bivacco cucito dalla moglie Nella ed ancora la sua piccozza e i suoi chiodi di roccia. Quattro filmati rarissimi, assemblati da Luigi Pepe, verranno inoltre proiettati a ciclo continuo negli orari della mostra all’interno dello Spazio Alpino SAT: “Direttissima Paganella” del 1933 il filmato più datato in circolazione su un’impresa alpinistica, quindi “C’è pane per i tuoi denti” sulla spedizione del 1957-58 in Patagonia curato da Decarli e Pavarello, con alcuni spezzoni recuperati dalla figlia di Catullo, Betulla Detassis. Il terzo docufilm è del 1966 e testimonia una ricognizione sulle nevi dell’Adamello con gli sci, mentre il quarto filmato è un’intervista a Detassis realizzata da Angelo Dalpez negli anni 80. A palazzo Trentini il grande vecchio della montagna campeggerà su 15 pannelli espositivi, il racconto della sua vita, le immagini, le frasi celebri, gli incontri, le imprese, la moglie Nella, prima maestra di sci d’Italia, la vita in rifugio. Un significativo evento dunque forse il più impegnativo del 2018 curato dalla Commissione Cultura e Biblioteca della Montagna SAT a testimoniare quanto la memoria possa ancora regalare alle nuove generazioni, attraverso il ricordo di un uomo, dei suoi valori e della sua concezione della montagna che segnarono un’epoca, ai quali oggi guardiamo ammirati con un po’ di nostalgia.

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