Il ghiacciaio della Fradusta si è ridotto del 95 per cento 

Primiero. Tra il 1888 e il 2014 la superficie coperta dai ghiacci è scesa da 150 agli attuali 3 ettari Stesso destino per il ghiacciaio di Travignolo, passato dai 30 ettari di fine Ottocento ai 15 attuali



Primiero. Una riduzione dell’intera area glaciale di oltre il 95% avvenuta tra il 1888 e il 2014 con una diminuzione della superficie, passata dai 150 agli attuali 3 ettari, caratterizzano quel che resta del ghiacciaio della Fradusta, mentre una riduzione inferiore investe il ghiacciaio del Travignolo che passa dai 30 ettari di fine Ottocento ai 15 attuali, ma è vittima di un profondo cambiamento morfologico in corso. È questo, in estrema sintesi, il risultato del monitoraggio effettuato nella quinta tappa della Carovana dei ghiacciai di Legambiente sui ghiacciai della Fradusta e del Travignolo in Trentino.

I risultati del monitoraggio sono stati presentati ieri mattina a San Martino di Castrozza, nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno partecipato Vanda Bonardo, responsabile Alpi Legambiente, Marco Giardino, segretario Comitato Glaciologico Italiano, Gino Taufer, responsabile tecnico del Parco naturale Paneveggio Pale di San Martino, Vittorio Ducoli, direttore del Parco naturale Paneveggio Pale di San Martino, Andrea Pugliese, presidente Legambiente Trento.

«Il ghiacciaio della Fradusta, che si sviluppa lungo il versante nord della Cima la Fradusta (2939 m slm), che quale rappresenta il punto più elevato della serie di creste rocciose che formano il perimetro meridionale dell’Altopiano delle Pale di San Martino, sta regredendo ad una velocità tale da sembrare quasi una morte in diretta - dichiara Vanda Bonardo, Responsabile Alpi Legambiente - ulteriore quanto evidente segnale dell’accelerazione dei cambiamenti climatici. Una crisi, quella climatica, che come stiamo osservando sta modificando il territorio non più di anno in anno come accadeva un tempo, ma giorno per giorno. Gli effetti del maltempo nella zona di indagine di questi giorni, con nuove frane e colate detritiche, se da un lato ci ricordano la vivacità dal punto di vista geomorfologico dell’area dolomitica, dall’altro ci ripropongono il problema della gestione del territorio con una particolare attenzione all’uso del suolo. Per tutto ciò è però indispensabile mettere al centro progetti integrati di riduzione del rischio e di adattamento al cambiamento climatico. Tuttavia, su quest’ultimo aspetto ad oggi, ancora, non abbiamo nessuna notizia rispetto al piano nazionale che avrebbe già dovuto essere approvato».













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