Ucciso da un infarto Eugenio Pellegrini 

Personaggio contro, dai tempi dell’editoria coraggiosa delle inchieste dirompenti fino alla polemica “interna” nel Pd


di Luca Marsilli


ROVERETO. È morto ieri al Santa Chiara, dove era stato ricoverato per un infarto due giorni prima, Eugenio Pellegrini. Sessant’anni che avrebbe compiuto tra 10 giorni, un secondo infarto gli è stato fatale. Un personalità forte ed una vita combattuta in frontiera. Frontiere che sono cambiate nel tempo e che lui stesso si è scelto di volta in volta. Ma sempre affrontate con lo stesso piglio da barricata, che si trattasse di pubblicare con enorme coraggio inchieste che avrebbero fatto epoca, negli anni d’oro della Publiprint, sia che si trattasse di combattere contro la burocrazia per strappare al degrado i Lavini di Marco: le battaglie degli ultimi anni, e quelle per le quali forse è più conosciuto a Rovereto. Sempre spiazzante, sempre a testa bassa contro le porte chiuse. Emblematico della persona e del suo modo di vivere e di agire potrebbe essere l’episodio del 2012, quando probabilmente segnò contemporaneamente due record: la più ostentata e clamorosa uscita dal Pd, il partito di cui aveva fatto parte fin dalla fondazione e il più rapido rientro nello stesso partito.

Si era a ridosso delle primarie che avevano richiesto il doppio turno. Al secondo turno fu stabilito che avrebbero potuto votare solo coloro che già avevano votato al primo. Lui la considerava una gravissima lesione alla democraticità delle primarie stesse (pur avendo votato al primo turno) ed era arrivato in redazione con tessera e forbici. Pretendendo bonariamente che fosse documentato il suo gesto di tagliare a pezzi la tessera. Due settimane dopo era tornato in redazione con una tessera nuova di zecca: era tornato in campo Berlusconi, aveva spiegato, e di fronte a questo passava tutto in secondo piano. Fare fronte comune diventava un dovere morale, aveva detto.

Nato il 13 ottobre 1958, Eugenio Pellegrini è sempre stato legato agli ambienti di sinistra. Sinistra “contro” finché è esistita, sinistra e basta negli anni più recenti. È come editore (“di frontiera”, ovviamente) che ha dato, anche in questo senso, il meglio di sé. Anche se poi non avrebbe retto, finendo travolto dall’incendio della sua stessa azienda: un attentato, ha sempre sostenuto. Una truffa per cercare di salvare il salvabile, secondo la Procura e poi il Tribunale di Trento. Che per questo lo ha condannato. Fortuna, o complessità del caso, ha voluto che per arrivare alla sentenza ci siano voluti 10 anni, dal 2004 al 2014: a quel punto gran parte dei reati contestati erano prescritti e rimaneva solo l’incendio. Altrimenti poteva anche finire in galera.

Di striscio, e non si è nemmeno mai capito bene né come né perché, era finito coinvolto anche in un altro grande giallo trentino: l’addestramento in val di Ledro di presunti legionari per un ancora più presunto golpe, mai avvenuto. Era il “caso Pampalon”: finì tutto in una bolla di sapone. Ma a cercare armi, all’alba, si erano presentati anche a casa sua. Ovviamente senza trovare nemmeno un temperino.

Il funerale sarà celebrato domani alle 10 a Cognola, dove vivono i suoi parenti.

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