l'intervista

«Una Regione moderna e con meno consiglieri»

Ugo Rossi spiega la sua ricetta per l’Autonomia 2.0: «Dimostreremo che amministrarsi da soli non significa spendere di più». E parte un tour in Italia


di Chiara Bert e Luca Petermaier


TRENTO. Un consiglio regionale più snello e una Regione che si occupi delle politiche che legano il Trentino e l’Alto Adige, dalla mobilità ai trasporti, alla previdenza integrativa, all’amministrazione della giustizia. E una Regione che conti di più in Europa, anzi possa essere - insieme al Tirolo - capofila a Bruxelles delle strategie Ue per l’arco alpino.

Il presidente della Provincia e della Regione Ugo Rossi tratteggia così l’autonomia che verrà, o quantomeno quella che potrebbe essere se la riforma del Terzo Statuto andrà in porto. Lo fa a una settimana di distanza dal confronto pubblico a Bolzano con il sottosegretario De Vincenzi e il governatore toscano Enrico Rossi, in cui il primo ha annunciato che l’autonomia trentina non è provvisoria perché è stata ben amministrata, ma il secondo ha incalzato le speciali a confrontarsi sui costi standard, sulle ripartizioni, sui livelli di assistenza sanitaria.

Presidente Rossi, il senatore Palermo ha ribadito che a Roma tira una brutta aria e che bisogna mostrare all’Italia che abbiamo una visione politica, altrimenti avranno ragione gli altri a dire che l’autonomia è un privilegio. È d’accordo?

Sono d’accordo che quella che ci attende, in un momento in cui il parlamento discute una riforma della Costituzione che riaccentra i poteri nelle mani dello Stato, è una battaglia culturale. Dura, ma non ci sono alternative. Personalmente mi sto impegnando anche in giro per l’Italia, qualche tempo fa sono stato in Valtellina, a ottobre saremo a Breno anche con Maroni, ho contatti con Chiamparino: il nostro sforzo è di far crescere una cultura autonomista anche nelle regioni ordinarie, perché questo può aumentare la qualità dei servizi ed è conciliabile con la tenuta dei conti pubblici.

Se oggi la riforma fa un passo indietro sul federalismo non sarà che le Regioni devono fare un mea culpa?

Ci sono Regioni che hanno saputo amministrare bene e altre no, e con le seconde è giusto che lo Stato eserciti il potere sostitutivo. Ma ci tengo a ricordare un dato: lo Stato controlla il 70% della spesa pubblica, le Regioni il 30%, quando si parla di responsabilità del dissesto si deve partire da qui. Per questo noi abbiamo difeso con forza il comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione, il regionalismo differenziato che consente alle Regioni ordinarie di chiedere nuove competenze allo Stato. Diciamo agli altri: voi l’autonomia non ce la portate via, cominciate a chiederla anche voi.

Cosa risponde agli osservatori che sostengono che in questo clima mettere mano allo Statuto è solo un rischio per il Trentino Alto Adige?

Le preoccupazioni sono fisiologiche, c’è anche chi dice che dovevamo partire prima. Io dico questo: l’anno scorso abbiamo stabilizzato i nostri conti firmando un patto finanziario con lo Stato; nella riforma costituzionale stiamo discutendo per blindare il principio dell’«intesa», che stabilisce che le modifiche allo statuto devono essere frutto di un patto e non di un’azione unilaterale dello Stato. Penso che a questo punto possa partire la riflessione su come vediamo l’autonomia dal 2020 in poi.

Lei come la vede? Il ruolo della Regione resta il grande nodo di scontro tra Trento e Bolzano.

Sono convinto che il lavoro andrà in porto se ci si capisce reciprocamente, quindi se i trentini capiscono le difficoltà del mondo tedesco. Nelle nostre popolazioni è maturata una cultura se oggi riusciamo a dire, come Regione, che fermiamo 100 mila tir e li mettiamo sulla ferrovia. La prospettiva dev’essere quella di interfacciarci sempre più con l’Europa e per questo con Alto Adige e Tirolo abbiamo chiesto che l’Euregio sia capofila della strategia Ue per l’arco alpino.

Lei non pensa che le sedute del consiglio regionale siano una testimonianza plastica dello stallo della Regione e della distanza che esiste fra Trento e Bolzano?

Infatti dobbiamo cambiare prospettiva e andare oltre gli attuali steccati normativi. Chiediamoci: ha senso che il consiglio regionale si occupi delle due leggi elettorali che sono diverse o è meglio che ogni Provincia si amministri la sua? Io immagino per il futuro un consiglio regionale con altri numeri, decisamente più snello (oggi sono 70 consiglieri, ndr), e che si occupi di quello che possiamo fare insieme, di regole sulle politiche dei trasporti, di previdenza integrativa, di rapporti con l’Europa, di amministrazione della giustizia che è una delle nuove competenze che abbiamo acquisito dallo Stato.

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