Un milione di euro per gestire il lascito

Il cda: base d’asta 810 mila più Iva. È una commissione che promette di mangiarsi l’intero rendimento dei prossimi 5 anni


di Paolo Morando


CASTELLO TESINO. Converrà davvero all’Apsp “Suor Agnese” affidare il patrimonio del lascito Pasqualini a un gestore professionale? Non è affatto detto, stando ai paletti che dovrebbe prevedere il bando di gara, la cui pubblicazione è ormai imminente. Paletti che sono già indicati nella delibera approvata la scorsa settimana, lunedì 20, dal consiglio d’amministrazione dell’Apsp. E che fanno presagire l’impensabile: cioè che i rendimenti futuri possano essere addirittura inferiori agli attuali, già irrisori perché frutto del deposito dell’intera somma (circa 13 milioni di euro) su un conto corrente della Cassa Rurale Valsugana e Tesino. Si tratta come noto di una rendita pari all’1% più l’Euribor a tre mesi (che ora è pressoché zero), lontanissima rispetto ai tassi nominali fra il 3,75 e il 5% di quei titoli di Stato che l’Apsp ha deciso di dismettere ormai un anno e mezzo fa.

La delibera del cda. L’oggetto è, testuale, “Affidamento della gestione patrimoniale dell’Apsp ‘Suor Agnese’ per il periodo 2015-2020: determinazione a contrarre per l’affido nella modalità della procedura ristretta e con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”. Procedura ristretta dunque, altrimenti detta licitazione privata: si tratta cioè di una gara a cui saranno invitati a partecipare solo i soggetti che l’Apsp, con valutazione preliminare, considererà idonei a concludere il contratto. E già questo è un elemento degno di attenzione: procedura assolutamente lecita, ma forse non del tutto in linea con la «massima trasparenza» di cui aveva finora sempre parlato l’Apsp a proposito del bando in preparazione. Il passaggio chiave è però un altro. Recita infatti la delibera che «obiettivo dell’investimento è la massimizzazione del rendimento compatibile con i profili di rischio dell’Ente, orientato alla prudenza ed al mantenimento del patrimonio, escludendo quindi profili di rischio aggressivi». Fermiamoci. E concentriamo l’attenzione sul termine «mantenimento». Che cosa significa? Con ogni evidenza, l’Apsp vuole giustamente cautelarsi dal pericolo di dissipare parte del proprio patrimonio. «Mantenimento» dunque significa «garanzia». E in termini finanziari è proprio questo il termine corretto: garanzia di non vedere intaccato l’investimento iniziale. Il che non è affatto un dettaglio secondario. Consultato dal Trentino, chi si occupa professionalmente della materia (e ad altissimo livello) spiega infatti che un paletto del genere è in grado di tenere ben distanti dal bando di gara numerosi potenziali gestori. Il motivo è semplice: il mercato attualmente è caratterizzato da rendimenti zero per quanto riguarda i titoli di Stato (è il caso dell’ultima emissione del Tesoro di appena tre giorni fa, Btp con scadenza semestrale andati comunque esauriti), con prospettive addirittura di rendite negative, mentre l’azionario offre opportunità notevoli, con i rischi che però ne conseguono. Le indicazioni fornite dall’Apsp, si spiega ancora, prospettano la seguente situazione: una piccola parte (ad esempio il 5%) di investimento azionario, per cercare un profitto, bilanciato però da titoli per la restante parte, quella maggioritaria dunque dei 13 milioni e mezzo che la “Suor Agnese” intende conferire. Perché, e qui sta il punto, anche il gestore non può certo rischiare di dover ripianare con il proprio portafoglio eventuali minusvalenze per garantire il «mantenimento» del patrimonio affidato. E c’è di più. Il bando di gara parla di 5 anni di durata dell’appalto: termine strettissimo per pianificare investimenti di lunga portata. Vale a dire che il gestore che si aggiudicherà la gara (e l’appalto sarà assegnato anche in presenza di una sola offerta) non potrà investire in titoli di Stato con scadenza maggiore (e rendimenti conseguenti). Ed è un altro paletto decisamente corposo.

La commissione. È il passaggio più delicato della delibera. «Il criterio di aggiudicazione prescelto - si legge - è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (...) fino a un massimo di 70 punti in relazione alla qualità del servizio offerto e fino a un massimo di 30 punti in relazione al prezzo». Ma è naturalmente su quest’ultimo punto che si giocherà la partita. Quanto guadagnerà il gestore? L’Apsp fissa la base d’asta a 810 mila euro, cioè 162 mila l’anno. Non è poco: si tratta dell’1,2%. Vale a dire una percentuale che, attenzione, da sola è in grado di mangiarsi per intero il rendimento complessivo. Chi si occupa di gestione professionale del risparmio fa infatti notare che, in questo momento, le linee cosiddette “garantite” (o “bilanciate”) viaggiano su rendimenti proprio di quelle dimensioni: «I tassi garantiti di una volta ce li sogniamo, ora è cambiato tutto». Una frase che, pensando ai titoli che l’Apsp ha portato all’incasso, dice tutto. La delibera tra l’altro è confusa: si parla infatti di «facoltà di rinnovo espressa per altri 5 anni» e, soprattutto, di 810 mila euro «per l’intera durata contrattuale, comprensiva dell’eventuale rinnovo». Sembrerebbe di capire insomma che quella cifra vale per 10 anni di gestione, non per 5. C’è da sperare che si tratti di un errore, perché in caso contrario è certo che alla gara non si presenterà nessuno: troppo basso il margine di guadagno per un decennio. Errori a parte, è evidente che il cda si attende ribassi rispetto a quella base d’asta, magari che si avvicinino a quanto offerto da chi si aggiudicò la gestione del Fondo strategico regionale, sempre citato dalla “Suor Agnese” come esempio virtuoso. Citazione sbagliata: l’Apsp gli accredita infatti la gestione di un patrimonio anche inferiore a quello del lascito Pasqualini (la frase compariva ancora ieri sul sito dell’Apsp), quando invece si tratta di addirittura 200 milioni. Comunque sia, chi ora gestisce quel fondo (la Finint, che si aggiudicò un bando però europeo, non a procedura ristretta) porta a casa una commissione che non raggiunge lo 0,8%. Infine, come se non bastasse, a quegli 810 mila euro andrà aggiunta l’Iva: e sono altri 178 mila. Totale: quasi un milione. Forse è davvero meglio lasciare tutto in banca, guadagnandoci una miseria. A patto di non ripensare a quei preziosi Btp.

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