lo schianto

Tragedia di Taio, parla l'autista: «L’ho vista arrivare contro il mio camion»

Marco Pedranzini, 44 anni, camionista di Sondrio, ricorda gli istanti infiniti del tragico incidente



PREDAIA. «I suoi occhi, ricordo i suoi occhi». Marco Pedranzini, 44 anni di Sondrio, era alla guida del camion blu che si è visto venire addosso due auto, una in fase di sorpasso, alle 13 di ieri sulla ss43 della valle di Non. Sul luogo della tragedia guardava soccorritori e forze dell’ordine come un uomo che è sopravvissuto ad uno schianto tremendo, ma che la morte l’ha vista lo stesso, tutta, negli occhi di chi ora non c’è più. Un attimo che sembra eterno.

Schianto contro il tir: due morti L'incidente a Taio, nel comune di Predaia. Due le vetture coinvolte: deceduti i conducenti, un uomo e una donna della zona

«Due auto che ti vengono addosso. A bordo della citroen nera c’è una donna. Non rientra in tempo, urta l’auto che sta superando», la Toyota Rav 4 . Ed è allora che Marco Pedranzini la vede. Vede la donna piombare addosso al muso del suo camion. Occhi negli occhi. Marco frena, frena e poi si butta contro un muro. Ma è tardi. In un istante gli occhi della donna scompaiono sotto la testa del suo tir. Li rivedrà in un silenzio irreale, guardando giù. Cristina non c’è più. Occhi. Negli occhi di questo uomo alto ora c’è un vetro spesso, un vetro che tradisce il dramma profondo di chi ha visto e non ha potuto fare neint’altro che frenare, frenare e poi andare contro un muro e poi, guardare giù. Marco è da 20 anni lavora sui camion. «Non mi era mai successo un incidente, mai nulla».

Marco guarda il camion, guarda i pezzi di una tragedia sparsi sull’asfalto: pezzi di motore, lamiera, segatura. Segatura bagnata da una pioggia sottile e poi, sempre più insistente. «Ho visto il sorpasso, la carambola delle auto. Ho visto tutto. L’impatto». Il silenzio scricchiola di lamiere contorte, fuma di olio. Il silenzio ha l’odore della benzina, della gomma sfaldata di auto in collisione. La fibra che si trascina nell’estremo tentativo di compiere una frenata che è impossibile. Tutto in un istante. Il ticchiettio della pioggia sul vetro. Pioggia a velare anime spente, pioggia a scandire gli attimi in cui Marco vede sparire l’auto di Cristina.

«E’ stato allora che ho guardato giù e l’ho vista, l’ho rivista. Non potevo muovermi, non ero ferito. Ero bloccato. Seduto al mio posto non riuscivo a muovere niente. Ero lì e guardavo giù. Avevo capito...avevo capito che la signora...No. Non sono stato io a chiamare i soccorsi, non ero in grado, non ne avevo la forza. I soccorsi li hanno chiamati gli altri». Gli altri sono gli automobilisti che stavano dietro. Loro hanno avvertito le forze dell’ordine, i carabinieri di Denno, che coprivano il turno delle tredici.

Marco è stato a lungo sul luogo della tragedia. Ritto sotto la pioggia, il berrettino ad ombreggiare una tragedia talmente grande che, paradossalmente, si può raccontare. Il tono tradisce: è asciutto. Marco è sotto schok. Asciutto è anche il racconto di quell’ istante senza fine nel quale ha visto in faccia la vita che scivolava via. Due auto, due vite spezzate, Cristina Campadelli e Arturo Bertagnolli. Arturo, la sua auto, Marco non l’ha vista, se non nella dinamica di un sorpasso impossibile da evitare.

«Ho fatto quello che ho potuto. Ho cercato di fermare il camion, ma era tardi, era tardi. Potevo solo girare il muso». Quel senso di impotenza che scava senza sosta è la verità che riluce in fondo agli occhi di Marco, fissi sulla strada. Quest’uomo alto che ha passato metà della sua vita sopra i camion, per le strade di mezza Italia, è piccolo piccolo in questa tragedia. Grigio l’abito, grigio e carico di lacrime il cielo della Predaia. E Marco se ne stava lì, sotto la pioggia, in mano una borsina bianca. Poche cose recuperate dalla vita di prima, la vita che era prima di vedere quegli occhi. La casa lontana, la casa a Sondrio. Una famiglia dalla quale tornare. «Tornare», quel dono che ieri non è stato per tutti.













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