Spiaggia Olivi, il genio resuscitato

Il restauro ultimato valorizza l'architettura d'alto lignaggio di Maroni


Cesare Guardini


RIVA. Nel breve intervallo fra due successive invasioni, quella ormai conclusa di muratori e tecnici, elettricisti idraulici e montatori, e quella imminente delle squadre di Cristian Miorelli, gestore designato, che sistemeranno arredamento cucina e bar, la spiaggia degli Olivi s'è offerta completamente spoglia, ridotta alle pure strutture murarie, così com'è uscita dalla matita di Giancarlo Maroni ottant'anni fa, all'inizio dei Trenta. Marco Tanas, presidente della Lido, ha voluto che Riva ne approfittasse per fissarne a futura memoria, prima cioè che l'attenzione venga distratta dagli arredi, l'essenzialità restituita dal restauro. L'ha fatto ieri mattina, invitando oltre a politici, amministratori, imprenditori e cittadini (Mellarini, Mosaner, mezza giunta comunale, Valandro, Paolo Pederzolli) i due architetti che hanno firmato il restauro, Cinzia D'Agostino e Gianni Calzà. La prima ha introdotto il tema della modernità di Maroni che, nella seconda fase rivana (la prima fu quella della ricostruzione del centro dai massacri della Grande Guerra) attenuò il tema dell'italianità da riaffermare attraverso il ricorso ad elementi mediterranei quasi in polemica contrapposizione al liberty trionfante nel decennio del kurort. «Ogni costruzione oltre il Lido -affermava con Luigi Pizzini impostando attraverso il piano regolatore lo sviluppo ad est della città- risponda non già al passato, ma ad un avvenire che dobbiamo creare». La Spiaggia, «interpretazione geniale e pratica dell'ambiente», risponde appunto a questa esigenza di classicità.  Gianni Calzà fornisce della Spiaggia una lettura particolare. Gian Carlo Maroni dopo aver dato prova di qualità straordinarie negli anni Venti, s'era lasciato rinchiudere nella prigione d'oro del Vittoriale e dei capricci di D'Annunzio. La Spiaggia è un'evasione, una boccata d'aria fresca, fuori dagli obblighi del trionfalismo del Vate. Il turismo in ripresa chiedeva con insistenza sempre maggiore, uno stabilimento balneare. Maroni coll'elemento circolare centrale ed i due bracci laterali, risolve in maniera che Calzà giudica eccezionale, il rapporto fra l'immensa massa d'acqua a sud, il verde della vallata a nord, l'ingombrante mole della Rocca ad ovest. Questa convinzione di intervenire su un bene dal valore immenso più ancora che i vincoli, storico ed architettonico, hanno dettato i criteri del restauro conservativo. Due esempi soli. La statica diceva che, scarso di fondamenta e costruito sull'acqua, l'edificio era fragile. Per consolidarlo è stato necessario scavare, e quindi asportare i pavimenti di graniglia (che negli anni Trenta confermavano la scarsa liquidità dei committenti). Bene: il materiale prelevato è stato analizzato, pietre e leganti, e l'impasto rifatto e lisciato assolutamente identico. Idem per i telai delle finestre, tanto leggeri da non sopportare l'inserimento d'un vetrocamera, mangiati dalla ruggine e rifatti da un artigiano locale, compreso il sistema di aste e tiranti per aprire i vetri nella parte alta.













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