Spaccio in val di Fiemme 16 arresti e bar sigillato 

Oltre un anno di indagine dei carabinieri, in cella trentini accusati di gestire  un giro di coca da 70 mila euro al mese. Il locale trasformato in un laboratorio



TRENTO. Nell’orario di apertura serviva caffè, e gelati, ma una volta chiusa la porta, si trasformava in un laboratorio in stile «Breaking bad» dove la cocaina veniva tagliata e confezionata. Un bar con una doppia vita, l’Anny di Castello di Fiemme che è stato messo sotto sequestro ieri mattina al termine di un anno di indagine dei carabinieri della Compagnia di Cavalese. Un bar come tanti altri che risulterebbe essere la base operativa di un’associazione dedita allo spaccio. 18 le ordinanze di custodia cautelare (16 quelle eseguite, due sono latitanti) che hanno raggiunto soprattutto fiemmesi e cembrani che ora dovranno difendersi da accuse pesantissime. Per 16, in particolare, c’è quella di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio.

«Il bar - ha spiegato ieri il procuratore capo della repubblica di Trento, Sandro Raimondi - era come una centrale operativa dello spaccio all’interno di una vera e propria azienda con ruoli e compiti ben definiti». Un gruppo che in base ai risultati di un anno abbondante di indagini coordinati dal pm Davide Ognibene, riusciva a procurarsi fra il 500 e i 600 grammi di cocaina al mese, tagliarla sul posto e quindi venderla (soprattutto in locali notturni della zona con delle puntate in Alto Adige) ricavando 70 mila euro. Al mese. L’operazione è la «Sciamano» perché fra gli arrestati ci sarebbe stata molta superstizione.

Lo spunto. Il punto di partenza delle indagini - ha spiegato il comandante della Compagnia di Cavalese, il maggiore Molinari - sono state delle indiscrezioni, delle confidenze che sono state raccolte dai carabinieri della stazione di Molina di Fiemme. Spunti che sono stati trasformati in lunghe giornate di controlli e di pedinamenti, di verifiche e di accertamenti portati avanti dal nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Cavalese. Perché non volevano fermare un paio di spacciatori in paese, volevano ricostruire l’attività di spaccio nel complesso. E hanno iniziato con il monitoraggio dell’attività del bar Anny, segnalato come luogo di possibile interesse.

Il bar-laboratorio. Un locale come tanti altri, gestito da Paolo Girardi. Così appariva - secondo la ricostruzione degli investigatori - l’Anny durante il giorno, ma era in orario di chiusura che avveniva la trasformazione. Porta chiusa e diventava una sorta di laboratorio dove la cocaina veniva tagliata e confezionata. Con un importante giro d’affari. In poco più di un anno di controlli, sono state un migliaio le cessione di stupefacente che sono state documentate dai carabinieri. In alcune - rare - occasioni al bar ci sarebbe stata anche la cessione di droga. Ma solo per clienti affezionati. Il resto della coca veniva portata fuori e venduta dai galoppini.

Capi e galoppini. Un’associazione, un’azienda nella quale ognuno aveva il proprio compito. Secondo i carabinieri i promotori sarebbero Taulant Shtembari, detto Tondi, albanese residente a Molina di 40 anni, Paolo Girardi, di Cavalese di 48 anni. Quindi troviamo il barista di Girardi, Alessio Sartori detto Bodry di Molina, Ionel Dorel Mihali romeno 26 anni residente in zona come Andrea Bagattini, 24 anni di Altavalle, Gianluca Lira 29enne di Cavalese, Thomas Matordes 43 ani di Molina, come il 24enne Patrick Capovilla, e Flavio Varesco, 42enne di Tesero, deputati alla redistribuzione del narcotico sul mercato delle valli di Fiemme e Fassa. E poi c’erano le vedette, di guardia durante le operazioni di taglio.

Il taglio. Alle operazioni di taglio si sarebbe dedicato invece Vincenzo Matri 25enne di Faver che si sarebbe occupato anche del procacciamento della sostanza da taglio reperita all’estero attraverso spedizioni via posta, oppure acquistandola nelle farmacie della zona. La cocaina (con un alto grado di purezza) sarebbe stata tagliata infatti con caffeina mannitolo e anche aspirine.

I rifornimenti. A garantire il contatto con i «grossisti» sarebbe stato Ridha Hamza, un tunisino che aveva messo in contatto i fiemmesi con dei pezzi grossi a Trento. Ma c’era anche un rapporto diretto con Petrit Arapi albanese di 41 anni residente a Rozzano ma con un passato in val di Fiemme che avrebbe garantito i rifornimenti dal milanese a Castello.

Gli arresti. Sono stati 100 i militari (oltre all’elicottero dell’Arma) che sono stati impegnati dal Trentino a Milano passando per Verona nelle catture ieri mattina e i 16 arrestati sono stati portati in carcere tranne tre (Lira, Marti e Capovilla) che sono finiti ai domiciliari. (m.d.)

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