Rossi: «Non mi candido per Roma»

Il presidente: «Decidiamo anche a costo di perdere voti». E avverte: «Delegittimare chi lavora mina le istituzioni»


di Chiara Bert


TRENTO. «Non ho nessuna intenzione di lasciare il mio compito alla guida della Provincia in direzione di qualsivoglia altro impegno». Ugo Rossi sente il bisogno di dichiararlo, in chiusura della sua relazione al bilancio 2017 ieri in consiglio provinciale, e di spazzare così via i rumors di una sua possibile candidatura alle politiche se, come tutto lascia credere, l’Italia andrà ad elezioni anticipate. «In Trentino abbiamo un sistema elettorale che consente ai cittadini di scegliere - ogni cinque anni - chi li governa, lasciando il giusto tempo per giudicarne l’operato», scandisce il governatore. «Significa stabilità, possibilità di giudizio e di costruzione responsabile di un eventuale cambiamento. Tutto questo rappresenta un valore, a prescindere da chi vince».

RESPONSABILITÀ DI GOVERNO. La parte più «politica» del suo intervento - durato 35 minuti e preceduto ieri dalla visita del vescovo Lauro Tisi in consiglio - il governatore l’ha dedicata a una riflessione sui populismi che rischiano di minare anche la tenuta della coesione sociale e delle istituzioni in Trentino. Un discorso rivolto soprattutto alle opposizioni che lo ascoltano in aula: «Democrazia significa saper decidere, esponendosi a tutte le critiche del caso. No al continuo rimandare. Preferiamo perdere consenso e magari diventare minoranza a causa delle responsabilità che ci siamo assunti piuttosto che vivere nell’incapacità di esprimere una visione di società o di fare delle scelte». Rivendica il suo sì al referendum costituzionale: «Per qualcuno è stato incauto perché si capiva che avrebbe vinto il no. Credo invece che la politica va oltre il tatticismo».

I GERMI DEL POPULISMO. Ma il presidente cita soprattutto alcuni eventi «che rappresentano - dice - preoccupanti spie di disagio»: i «toni sopra le righe» emersi per questioni del passato, «la presenza dell’orso in Trentino», o più recenti, «la messa in sicurezza dell’abitato di Mori» (dove il governatore è stato fortemente contestato, ndr), ma anche gli attentati incendiari di Soraga e Lavarone contro i profughi. «Situazioni - dice Rossi - che non rappresentano una critica a un’impostazione politica che non si condivide e che si vuole legittimamente cambiare, ma un tirare dentro tutto, mescolando dati concreti e paure prive di fondamento»: «Se questi segnali dovessero crescere, significherebbe che anche nel Trentino dell’autonomia si stanno diffondendo i germi di una delegittimazione a prescindere delle istituzioni che porta alla crisi irreversibile della democrazia». «Le istituzioni - insiste - hanno un valore a prescindere da chi le governa . Il cattivo e crescente costume di delegittimare chi sta lavorando (e cita in particolare i tecnici), di volerlo buttare giù, fa male a tutti, non solo a chi ne è vittima». Per il governatore va invece preservato, al di là della lotta politica, il patrimonio del Trentino che è fatto di «mediazione e dialogo, di volontariato, associazioni che assistono malati e disabili e si impegnano sul terreno dell’accoglienza, di sindacati e imprenditori che stringono accordi, di enti locali che uniscono le forze superando antiche diffidenze».

I RISULTATI. Nella prima parte della relazione Rossi aveva rivendicato i risultati ottenuti nel 2016, dal via libera alla concessione per l’A22 alle nuove deleghe dallo Stato, le fusioni dei Comuni, lo sblocco dei contratti dei dipendenti pubblici, i risultati su università, centri di ricerca, ammortizzatori sociali, turismo di qualità, ambiente.

GLI OBIETTIVI. Indica tre macro-obiettivi della manovra: crescita, coesione sociale, famiglia. Ma anche aiuti alle imprese più selettivi e investimenti pubblici strategici. Rivendica: «Non abbiamo tagliato un euro su sanità, scuola, lavoro, politiche sociali». Infine: «Oggi abbiamo i conti in ordine, abbiamo ridotto il debito e abbiamo attivato investimenti più sobri». Da lunedì la maratona d’aula.

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