Rivolta in carcere:  in 200 asserragliati  

La protesta è esplosa ieri dopo il suicidio di un detenuto tunisino di 32 anni Incendiati materassi e oggetti. La mediazione di questore e prefetto


di Francesca Quattromani


TRENTO. Grida di aiuto fra colonne di fumo, ieri mattina dalle celle del carcere di Trento. Tra le fiamme qualcuno urlava il nome di un uomo. Nella notte un detenuto si era tolto la vita, il secondo in un mese.

Poco prima delle 9 è esplosa la protesta che si è trasformata nella rivolta dell’intera popolazione carceraria. Oltre 300 detenuti contro la carenza di assistenza sanitaria all’ interno del carcere di Spini e soprattutto contro la rigidità del Tribunale di Sorveglianza nel concedere le misure alternative alla detenzione. L’uomo che nella notte si era tolto la vita era un tunisino di 32 anni, con un provvedimento di cumulo della Procura Generale di Venezia per stupefacenti. Aveva chiesto la liberazione anticipata. Nella primavera del prossimo anno avrebbe terminato di scontare la propria pena. La morte del trentaduenne ha scatenato la rabbia dei detenuti: 200 quelli che si sono asserragliati nel carcere, esclusa la sezione femminile. Hanno dato fuoco a materassi e suppellettili su due piani, divelto porte, danneggiato ambienti comuni. Ingenti i danni, si attende l’esatta stima. Diverse le celle e gli spazi ora inagibili, parte della popolazione carceraria di Trento potrebbe ore essere trasferita in altre strutture penitenziarie. Nel primo turno di visite programmate, durante i colloqui, i familiari hanno sentito delle grida all’interno del carcere. Qualcuno urlava «Assassini». Il secondo turno delle visite, quello delle nove, non è nemmeno entrato nella struttura. Fuori dal carcere donne e bambini, anche di pochi mesi, rimasti per ore nell’angoscia. «Come sta mio figlio?» chiedeva una donna. Fumo, urla disperate di aiuto. Da un megafono poche parole: «Vi invitiamo a restare calmi», poi la richiesta di un rappresentate con cui parlare. Ancora quell’urlo: il nome del ragazzo che poche ore prima si era tolto la vita. Ed ancora: «È bruciata la galera». Accanto alla polizia penitenziaria sono subito intervenute decine e decine di agenti della Questura, militari dell’Arma e della Guardia di Finanza. Sono stati anche allertati i reparti mobili della Celere di Padova e il Battaglione dei Carabinieri di Laives, oltre ai Baschi Verdi della Guardia di Finanza di Bolzano, che sono giunti in breve tempo in assetto antisommossa. All’interno del carcere anche le unità dei Vigili del Fuoco e del 118. I pompieri, con un opera che da più parti è stata definita importante, hanno spento diversi focolai all’interno della struttura, contribuendo al bilancio finale della rivolta: nessun ferito. A ripristinare la normalità, all’interno del carcere è stata l’opera di mediazione condotta dal Prefetto di Trento, Sandro Lombardi, con il Questore Giuseppe Garramone e la direttrice del Carcere Francesca Gioieni. Si è trattato di colloqui «fatti con alcuni rappresentanti dei detenuti che lamentano pochi problemi che si possono risolvere - ha detto il Prefetto uscendo dal carcere poco dopo le 14- Sono relativi alla sanità e alle richieste di permessi al Giudice di sorveglianza. I canali di comunicazione sono stati ristabiliti» ed hanno evitato di portare ad ulteriori conseguenze l’azione dimostrativa. «Li abbiamo ascoltati -ha spiegato quindi il Questore Giuseppe Garramone- Penso che i detenuti abbiano compreso che stavamo cercando di risolvere la situazione in modo pacifico». Con il Prefetto è stato concordato quindi di tradurre le istanze dei detenuti all’interno del comitato per la sicurezza. «In tempi brevi» sia per quanto riguarda la protesa legata alla Magistratura di Sorveglianza sia per quanto riguarda l’assistenza sanitaria. Quest’ultimo punto è ora anche all’attenzione della Procura di Trento, che ha aperto due fascicoli: uno per fare chiarezza sulla morte del tunisino che ieri si è tolto la vita in carcere, e il relativo livello di assistenza sanitaria in carcere, una relativa alla protesta. La rivolta del carcere di Trento è stata una delle maggiori che si sono verificate, In Italia, negli ultimi anni. Francesca Gioieni, direttrice del carcere di Spini assicura il massimo impegno per garantire ai detenuti una detenzione «dignitosa ed accettabile, che non sia una maggiorazione della pena detentiva». «Abbiamo dato fiducia ai detenuti, li abbiamo ascoltati» prosegue Gioieni. La direzione è quella di intervenire innanzitutto, in tempi brevi, sul fronte dell’assistenza sanitaria. Fuori dal carcere, per tutta la mattina, lo strazio dei familiari dei detenuti, in attesa di informazioni. «Sapete chi è quello che morto? Dicono sia uno straniero...» sussurrava una donna che aspettava di vedere il fratello. Madri e figlie temevano che i loro cari fossero rimasti coinvolti nella rivolta, che fossero feriti. Poi c’erano i bambini. Giocavano a palle di neve, fuori dal carcere, dopo aver pianto, dopo aver aspettato. Faceva freddo.













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