Rifiuta il test del dna e viene dichiarato padre

Sentenza della Cassazione sul caso di un trentino che, chiamato in causa per il riconoscimento di un bimbo, aveva invocato il suo diritto a non fare esami



TRENTO. Si era rifiutato di sottoporsi al test del dna invocando il suo diritto alla privacy e a non sottoporsi ad esami clinici e questo suo secco e deciso «no», per la corte di Cassazione è un ulteriore prova della paternità. La sentenza è stata depositata pochi giorni fa e ha respinto l’appello che era stato presentato dall’uomo contro la sentenza della Corte d’appello di Trento cui lui stesso era ricorso dopo che il tribunale dei minorenni del capoluogo lo aveva dichiarato come padre naturale di un bambino di pochi anni.

Il punto di partenza di questa storia la richiesta di riconoscimento di paternità da parte di una donna che aveva partorito un bambino. E aveva chiesto all’uomo di assumersi le sue responsabilità. Ne era nata una causa giudiziaria al termine della quale il tribunale dei minorenni aveva dichiarato l’uomo padre naturale del piccolo. Stessa decisione era stata presa dalla corte d’appello e si era quindi arrivati, lo scorso anno, al ricorso in Cassazione. E ora alla sentenza che, respingendo il ricorso, riconosce la bontà delle precedenti decisioni. In particolare, si legge nella sentenza della settimana scorsa, «il giudice di primo grado aveva interpretato il rifiuto dell’uomo di sottoporsi all’esame del dna come elemento a sostegno della fondatezza delle ragioni della donna, in presenza, tra l’altro, dei riscontri probatori offerti dalla stessa in ordine alla pregressa intimità con il ricorrente, il quale, invece, aveva negato perfino di conoscerla, venendo smentito dalla documentazione versata in atti dalla donna (tabulati telefonici, contenuto di sms)». Inoltre «la motivazione addotta del rifiuto dell’uomo di sottoporsi al predetto esame, fondata esclusivamente sul suo diritto a non essere costretto ad esami clinici, era in contraddizione con la scelta di rendere pubbliche le proprie difficoltà nel rapporto sessuale». L’uomo si era lamentato di aver dovuto rivelare il proprio problema, senza considerare «che avrebbe potuto evitare tale delicato percorso sottoponendosi al semplice, e non invasivo, esame richiestogli». In sintesi per la corte di Cassazione il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami del sangue finalizzati al confronto del dna costituisce un comportamento valutabile come argomento di prova su cui fondare la decisione e questo anche in assenza di prove relative a rapporti sessuali tra le parti. Per la Corte, è proprio la carenza di elementi certi relativi alla natura dei rapporti intercorsi e all’eventuale concepimento ad ingenerare la necessità di trovare altrove argomenti di prova, e dunque anche dal rifiuto ingiustificato a sottoporsi all’esame del dna da parte del presunto padre, in correlazione con le dichiarazioni che erano state rese della madre.

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