agricoltura

Pergine, meli in fiore anche in settembre: «Raro ma naturale»

Laner (Cmf): «Le Pinova reagiscono così alla distruzione Nei prossimi anni produzione di frutti più piccoli e radi»


di Roberto Gerola


PERGINE. Meli in fiore ai primi di settembre. Un’anomalia per questa stagione già di per sé anomala. L’evento, nelle campagne coltivate a frutteto, lungo il torrente Fersina, da Luigino Laner, 40 anni di attività agricola dopo il corso professionale a San Michele. Interessate le piante di mele “Pinova”, un cultivar brevettato qualche anno fa. Fanno parte di un frutteto sostanzialmente distrutto dalla grandine un mese fa. In quell’occasione, si erano salvati solamente gli impianti sotto rete, per gli altri è stato un disastro. La grandine aveva distrutto i frutteti sulla fascia (ampia) sulla sinistra del Fersina, dalle coltivazioni di Susà, Roncogno e Costasavina a quelle perginesi in via Montesei e tutta la zona. Danni incalcolabili se si pensa alla consistenza della produzione di mele a Pergine.

A un mese di distanza, le mele si presentano tutte “battute” e in gran parte ormai marcite. Fra queste quelle “Pinova” hanno prodotto nuovi fiori. Un’anomalia vista la stagione. Che Luigino Laner spiega come un fatto naturale, almeno per certi cultivar. «Il fatto è che la pianta “sente” che la produzione è andata distrutta e per assicurarsi una nuova produzione per l’anno successivo, genera fiori e quindi semi necessari». Ma appunto non tutti i cultivar agiscono in questo modo. «In effetti - dice ancora Laner, presidente del Cmf Agro Irriguo Perginese - la “Pinova” è uno dei rari cultivar che ha questo tipo di reazione alla grandine o comunque alla distruzione dei propri frutti. In 40 anni di attività avrò visto cose del genere un paio di volte».

Tra l’altro, i meli non sono come i ciliegi o le piante di pere. «In questi casi, non si fa nulla, in quanto i frutti cadono da soli. Invece per i meli, occorre effettuare la raccolta comunque per non creare scompensi alla pianta. Le mele non cadono da sole. Restano attaccate, marciscono, gelano e sono quindi dannose». Come dire che il lavoro c’è comunque anche se si raccolgono mele che non possono essere immesse sul mercato.

La grandine ha anche distrutto molti rami delle piante e non tutti sono in grado di reggere alla prossima produzione. «Il danno di un mese fa, dice, avrà ripercussione anche negli anni prossimi: frutti più piccoli e più radi». Il discorso passa alla remunerazione e allora sono dolori: «Il costo della produzione è almeno di 30 centesimi al kilo. In queste condizioni si riceverà 2 centesimi al kilo dall’industria. Ma nemmeno la frutta che si è salvata viene pagata. Si parla di 20 centesimi al kilo».

E l’assicurazione? «Pergine, insieme a pochi alti Comuni trentini è considerato ad alto rischio di grandine. L’assicurazione costa di più e la franchigia è più alta. Il canone è comunque oggetto di integrazione da parte di fondi europei e provinciali (e statali). E ci si salva. Tuttavia, ribadisce, le conseguenza saranno per qualche anno».













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