«Perdersi, ma per poi ritrovarsi davvero»

Cristiana Collu racconta la nuova, appassionante mostra del Mart. E la “sfida” lanciata ai nostri lettori


di Pierluigi Depentori


TRENTO. Una mostra per perdersi nel paesaggio, per riflettere sulla sua appropriazione da parte dell’uomo, per farci carico delle complessità. Cristiana Collu, direttrice del Mart, ne è convinta: «È una sfida importante, soprattutto per averla potuta sviluppare in una terra come questa, dove il paesaggio è incontaminato e preservato, naturale e armonico».

A vedere le opere in mostra, c’è ben poco di incontaminato e naturale...

Perché c'è un “altro”, rispetto a quello che si può vedere affacciandosi alle finestre del museo. Ci sono i luoghi dove l’uomo ha messo piede, appropiandosene: grandi metropoli, ma anche paesaggi marginali, antropizzati. Soprattutto paesaggi asiatici e sudamericani, perché quello che mi interessava era rivelare uno sguardo non occidentale sul paesaggio.

Una mostra di denuncia?

Non direi, piuttosto una mostra in cui il museo prende posizione. E' un po' come se avessimo voluto giocare una partita “Trentino contro resto del mondo”. Ci sono paesaggi che sembrano ideali, come ad esempio le opere di Rattana, dove i protagonisti sono degli splendidi laghetti della Cambogia che ti affascinano fino a quando vieni a sapere che quei laghetti sono nati dov'erano cadute delle bombe. Oppure un affascinante deserto americano che sembra un paesaggio lunare, e che poi scopri essere il luogo dove l'esercito fa i suoi test sugli armamenti.

Come dire: fate attenzione tra ciò che si vede e quello che è.

Esatto. Pensiamo a Chernobyl, a quasi trent'anni dall'esplosione nucleare tutto lo spazio attorno alla centrale è stato riconquistato dalla natura rigogliosa e quasi prepotente, ma altamente tossica e radioattiva. È come se fosse un deserto moderno.

L’uomo che arriva e distrugge, a volte consapevolmente e a volte inconsciamente...

Dove non c'è l'uomo, solitamente la natura è meravigliosa, il problema è proprio il compromesso – nel senso più nobile del termine – quando l'uomo si trova a dover “negoziare” con la natura. Ci vuole buonsenso, ci vuole cultura e sapienza nel rispettare la natura, nel sapere ad esempio dove e come costruire. La mostra ci dice che le cose sono sempre più complicate di come appaiono, ed è difficile farci carico della complessità.

Tra le opere in mostra ci sono pure “altri sguardi”, come quello dell’universo o quello della Terra vista dallo spazio. Siamo piccoli piccoli...

Se pensiamo a cos’è la Terra nell’universo... L'immagine dell’universo è proprio quella che apre la mostra, mentre nella parte finale ci sono le fotografie della Nasa dove la Terra è vista dallo spazio. E ciò che si vede non è il “pianeta azzurro”, non si vede nemmeno la Muraglia cinese, ma si vedono le luci dei paesi più industrializzati, che in un certo senso hanno “conquistato” il pianeta, e che sembrano quasi le costellazioni che vediamo noi da qui.

Che uomo è quello che esce dalla mostra? Protagonista, artefice, o comparsa?

È molto solo. Perduto. Non sperduto o smarrito, ma proprio perduto, nel senso di condizione, cioè perdizione (come si può essere perdutamente innamorati), perché non siamo più nel giardino dell'Eden, tra Paradiso Terrestre e Terra Promessa, ma stiamo nel mezzo. Nel mezzo della nostra perdizione, nel mezzo di questo paesaggio. C'è una frase che mi ha molto colpita. Diceva: “Se l'uomo sparisse da questa Terra, la Terra sarebbe rigogliosa e fantastica. Se sparissero gli insetti, nel giro di pochi anni il pianeta morirebbe”. Fa molto riflettere, sulla nostra condizione, sulla nostra importanza relativa. Ma la mostra è anche una passeggiata piena di suggestioni, anche di aspetti poetici. Per poi uscire e magari guardare con altri occhi i nostri paesaggi.

Che cosa si aspetta da “Lost in Trentino”?

Siamo sempre in cerca del posto ideale, di un momento di grande comunione con il paesaggio. Quante volte, nei nostri viaggi, abbiamo detto “vorrei fermarmi qui”? Una volta un mio curatore si trovò in mezzo a una nebbia fittissima, e continuava a ritrovarsi sempre nello stesso posto. Si era “perso nel paesaggio”, e alla fine ne era rimasto anche affascinato. Nel perdersi c'è poi anche la possibilità di ritrovare la strada, che significa anche ritrovare la giusta sensibilità, capire quali sono le nostre vere attitudini. Mi piacerebbe che non fosse solo uno sguardo retrospettivo, per salvare la memoria con la convinzione che quel luogo è già perduto, o semplicemente già perduto.

Si è mai sentita “lost in Trentino”?

Ho avuto quest'impressione la prima volta che sono andata ad Arco e ho visto la grande roccia che domina il paese. Ero con mia figlia e ci siamo messe ad immaginare quali creature fantastiche potessero vivere sotto quella roccia, che cambiava espressione a seconda delle ore del giorno, e di quale luce la illuminava. Penso poi alle immagini dell'alta montagna, recentemente ho visto degli scatti sulla Grande Guerra in Trentino che mi hanno fatto venire in mente la Barbagia, e in altre foto anche dei luoghi tibetani. O anche il contrario: luoghi lontani, magari fotografati durante un viaggio, che sembrano Trentino. Ecco, la sfida è quella dell'altro pianeta. Il Trentino “altro pianeta” qual è? Aiutateci a trovarlo!













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